L'amicizia

Cur amicitiam omnibus rebus humanis non anteponam? hoc primum sentio, nisi in bonis amicitiam esse non posse; neque id ad vivum reseco, ut illi qui haec subtilius disserunt, fortasse vere, sed ad communem utilitatem parum; negant enim quemquam esse virum bonum nisi sapientem. Sit ita sane; sed eam sapientiam interpretantur quam adhuc mortalis nemo est consecutus, nos autem ea quae sunt in usu vitaque communi, non ea quae finguntur aut optantur, spectare debemus. Numquam ego dicam C. Fabricium, M. Curium, Ti. Coruncanium, quos sapientes nostri maiores iudicabant, ad istorum normam fuisse sapientes. Quare sibi habeant sapientiae nomen et invidiosum et obscurum; concedant ut viri boni fuerint. Ne id quidem facient, negabunt id nisi sapienti posse concedi. agamus igitur pingui minerva. Qui ita se gerunt, ita vivunt, ut eorum probetur fides, integritas,aequalitas, liberalitas, nec sit in eis ulla cupiditas, libido, audacia, sitque magna costantia, ut ii fuerunt, modo quos nominavi, hos viros bonos, ut habiti sunt, sic etiam appellandos putemus, quia sequantur, quantum homines possunt, naturam optimam bene vivendi ducem.

Ma questo innanzitutto credo, che l’amicizia non vi può essere se non tra i buoni. E non intendo l’espressione nel senso più rigoroso, come quelli che ne discutono con troppa sottigliezza, forse correttamente, ma con poca utilità pratica. Asseriscono, infatti, che nessuno è buono se non il saggio. Sia pure. Ma per saggezza intendono quella che finora nessun mortale ha mai raggiunto: noi invece dobbiamo guardare a quelle cose che sono nella pratica e nel vivere comune, non quelle che si immaginano e si desiderano. Mai io direi che Caio Fabrizio, Manio Curio, Tiberio Coruncanio, che i nostri avi ritenevano saggi, siano stati saggi secondo il metro di costoro. Perciò si tengano pure il loro concetto di saggezza, odioso ed incomprensibile, ma ammettano che quelli sono stati virtuosi. Ma non faranno neppure questo, sosterranno che ciò non può esser concesso se non al saggio. Trattiamo dunque l'argomento, come si suol dire, con la 'grassa Minerva'. Quelli che si comportano, vivono in modo tale che venga provata la loro lealtà, la loro integrità, la loro equità, la loro generosità e che non vi sia in essi alcuna cupidigia, dissolutezza, imprudenza e vi sia invece grande fermezza, come l'ebbero coloro che ora ho nominato, questi uomini, come sono stati ritenuti virtuosi, così crediamo che debbano essere chiamati, perché seguono, per quanto possano gli uomini, la natura, la migliore guida del vivere bene.

Nova Lexis (2) Pagina 227 Numero 6

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