Avidità di Giulio Cesare

Abstinentiam neque in imperiis neque in magistratibus praestitit. in Hispania pro consule et a socii pecunias emendicavit accepitque in auxilium aeris alieni et Lusitanorum oppida diripuit hostiliter. in Gallia fana templaque deum donis referta expilavit, urbes diruit saepius ob praedam quam ob delictum;taque auro abundabat ternisque milibus nummum in libras promercale per Italiam provinciasque dividit. In primo consulatu tria milia pondo auri eripuit e capitolio et tantundem inaurati aeris reposuit. Societates ac regna pretio dedit; uni Ptolemaeo prope sex milia talentorum suo Pompeique nomine sumpsit. Postea vero evidentibus rapinis ac sacrilegis et onera bellorum civilium et triumphorum ac munerum sustinuit impendia.

Secondo quanto affermano alcuni autori nei loro scritti, quando era proconsole in Spagna, non si fece riguardo di prendere denaro dai suoi alleati, dopo averlo mendicato, per pagare i suoi debiti, e distrusse, come nemiche, alcune città dei Lusitani, sebbene non si fossero rifiutate di versare i contributi imposti e gli avessero aperto le porte al suo arrivo. In Gallia spogliò le cappelle e i templi degli dei, piene di offerte votive e distrusse città più spesso per far bottino che per rappresaglia. In tal modo arrivò ad essere così pieno d'oro da farlo vendere in Italia e nelle province a tremila sesterzi la libbra. Durante il suo primo consolato sottrasse dal Campidoglio tremila libbre d'oro e le rimpiazzò con un peso uguale di bronzo dorato. Concesse alleanze e regni, dietro versamento di denaro, e al solo Tolomeo estorse, a nome suo e di Pompeo, circa seimila talenti. È chiaro quindi che grazie a queste evidenti rapine e a questi sacrilegi poté sostenere sia gli oneri delle guerre civili, sia le spese dei trionfi e degli spettacoli.

Nova Lexis Plus Pagina 70 Numero 64

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