HECYRA di Terenzio

Publio Terenzio Afro (in latino Publius Terentius Afer) fu un commediografo latino. Anche se la sua data di nascita non è nota, sembra plausibile collocarla attorno al 185 a.C. a Cartagine, anche in ragione del suo cognomen, Afro. Sulla sua vita abbiamo una biografia risalente a Svetonio. Giunto a Roma come schiavo di un nobile senatore, Terenzio Lucano, fu in se-guito affrancato, "ob ingenium et formam", per il suo ingegno e per la sua bellezza, diventando un liberto.
Divenne amico di Scipione Emiliano e la sua posizione di prestigio suscitò l’invidia degli altri letterati. Sul suo conto sorse-ro calunnie e pettegolezzi: lo si accusava di essere un prestanome del suo importante protettore, che sarebbe il vero autore delle commedie terenziane. Era, infatti, considerato disdicevole per i politici romani, dedicare il proprio tempo alla compo-sizione di commedie. Infatti l’unica attività che era concesso coltivare era l’oratoria o la storiografia.
Da questa accusa Terenzio si difese nella sua ultima commedia, l’"Adelphoe" (da adelfoi: fratelli), nel cui prologo egli af-fermava che per lui era motivo di orgoglio essere aiutato dagli uomini più importanti di Roma.
Amareggiato dal complessivo insuccesso della sua produzione, Terenzio lasciò Roma recandosi dapprima in Grecia e in se-guito in Asia Minore, da cui non fece più ritorno. Morì qualche anno più tardi, o a causa di una malattia, o a causa di un naufragio, oppure per il dolore procuratogli dalla perdita dei bagagli che contenevano molte commedie che aveva tradotto da originali menandrei reperiti in Grecia. Aveva circa 26 anni.

OPERE
Come già aveva fatto Plauto, Terenzio adattò commedie greche: in particolare i suoi modelli, dichiarati nei prologhi, appar-tengono alla Commedia Nuova attica e, soprattutto, a Menandro.
L'opera di Terenzio non si limitò ad una semplice traduzione degli originali greci: l'autore apportò notevoli modifiche nelle trame e nei personaggi.
Terenzio, come Plauto, "contaminava" le sue commedie: introduceva cioè, all'interno di una stessa commedia, personaggi e episodi appartenenti a commedie diverse, anch'esse comunque di origine greca.
La commedia plautina viene denominata MOTORIA mentre la commedia terenziana viene definita STATARIA.
Rispetto a Plauto, infatti, Terenzio si differenzia in modo sensibile in vari punti. Innanzitutto, il pubblico ideale di Terenzio è più colto di quello di Plauto.
Rispetto a Plauto, Terenzio mantiene un’ambientazione rigorosamente greca, senza surreali intrusioni di usi e costumi ro-mani. Egli elimina quasi completamente i cantica, facendo invece uso abbondante dei versi lunghi. Altra notevole differenza con Plauto è quella relativa allo stile e al linguaggio: non troviamo in Terenzio l’esuberanza, le acrobazie verbali, i giochi di parole e le parodie dello stile tragico; evita vigorosamente espressioni popolari e volgari; segue, stilizzandolo, il linguaggio della conversazione ordinaria. Quello di Terenzio è insomma uno stile sobrio, naturale, all’insegna della compostezza, della semplicità.
Anche in Terenzio, al centro della vicenda comica, troviamo amori ostacolati che alla fine si realizzano felicemente.
Il commediografo tende a complicare gli intrecci menandrei, inserendo nella commedia, accanto alla coppia principale, una seconda coppia.. Rispetto a Plauto, Terenzio costruisce i suoi intrecci con coerenza maggiore e con più credibilità, caratteri-stiche queste mancanti nell’altro, che puntava sull’efficacia comica della singola scena.
Altra differenza importante con Plauto e Menandro, è l’abolizione del prologo informativo. T. trasforma il prologo informa-tivo in un prologo a carattere letterario; nel prologo parla di sè, del suo modo di poetare e si difende dalle accuse che i suoi avversari gli rivolgono. Plauto e Menandro si servono del prologo per informare il pubblico dell’antefatto e anticipano spes-so la conclusione; ciò metteva il pubblico nella condizione di seguire meglio la vicenda, il cui intreccio era spesso comples-so. Ciò rendeva il pubblico superiore ai personaggi della commedia. Terenzio elimina il prologo informativo, perché punta su effetti di suspense, vuole che lo spettatore si immedesimi nel personaggio, vuole che il pubblico sia coinvolto emotiva-mente nelle vicende, provi le stesse emozioni dei personaggi.
Terenzio inoltre, attenua i tratti caricaturali dei personaggi e ne fa delle figure delicate, tenere, sensibili.
Protagonista del suo teatro non è più il servus callidus, ma padri e figli. Non ridicolizza i sentimenti d’amore dei giovani, ma li segue con partecipazione e simpatia. I padri terenziani sono differenti da quelli plautini, sono disponibili al dialogo con i figli e si preoccupano della loro felicità più che del loro patrimonio e del veder affermata la loro autorità. Nel teatro di Terenzio non esistono personaggi del tutto negativi. Anche i servi sono spesso vicini ai padroni e partecipano ai problemi familiari; non tutte le cortigiane pensano ai propri interessi. Il messaggio che vuole trasmettere è quello di aprirsi agli altri, rinunciare all’egoismo, comprendere i propri limiti ed essere indulgenti nei confronti degli errori altrui, essere tolleranti e solidali.
Quella di Terenzio era una commedia che voleva trasmettere un messaggio morale estraneo alla mentalità romana abituata al teatro plautino che interpretava i rapporti interpersonali come basati sull’inganno, sulla violenza e sulle prevaricazioni. Pare tuttavia che la fortuna delle sue commedie sia da attribuire alle capacità del suo attore, Ambivio Turpione, uno dei mi-gliori a quell'epoca. La sua carriera drammaturgica non fu facile come per Plauto: non ebbe lo stesso successo perché la sua commedia non rispondeva ai gusti del grosso pubblico romano.
Terenzio compose in tutto 6 commedie, pervenuteci interamente con le didascalie relative alla rappresentazione.
La prima commedia terenziana fu L'Andria , "La donna dell'isola di Andro", che venne rappresentata con scarso successo.
La seconda commedia, l’"Hecyra" (la suocera) fu un fiasco clamoroso: il pubblico dopo le prime scene abbandonò il teatro preferendo assistere ad una manifestazione di pugili e funamboli.

L'Heautontimorumenos, "Il punitore di sé stesso" ed il Phormio vennero invece rappresentate con buon esito, risquotendo un discreto gradimento tra il pubblico romano.
Il maggior successo di Terenzio fu l'Eunuchus “L'eunuco”, una commedia ispirata da due diverse opere di Menandro: l’Eunucus è la più simile alla comicità plautina.
Durante i giochi funebri per celebrare la morte del padre di Scipione Emiliano, Terenzio fece rappresentare la sua ultima commedia, l’"Adelphoe" “i fratelli”; nella stessa occasione tentò una seconda rappresentazione dell’"Hecyra", ma anche questa volta il pubblico abbandonò il teatro preferendo i gladiatori.
Terenzio tentò una terza rappresentazione dell’"Hecyra" durante i Ludi Romani dello stesso anno e, finalmente, fu rappre-sentata con successo; il pubblico rimase in teatro grazie alla presenza di Ambivio Turpione, capocomico ed attore molto ce-lebre, che durante l'introduzione pregò i presenti di seguire la commedia fino alla fine.

HECYRA

Si pensa che la trama di "Hecyra (La Suocera)" di Terenzio riprenda il modello dagli "Epitrepontes" di Menandro ma questa attribuzione non è stata ritenuta l'unica infatti altri studiosi ritenevano che Terenzio si fosse rifatto ad Apollodoro e alla sua "Ekurav". Ma non vi è dubbio che l'impianto principale dell'azione si debba a Menandro, e che Apollodoro avrebbe ripreso l'opera menandrea nella sua opera, inventando però la figura della suocera, personaggio che non appare in Menandro. Perciò Apollodoro sarebbe solo un gradino di passaggio tra le due opere. L'innovazione che però si deve all'autore latino è quella di aver fatto un lavoro di scavo psicologico dei propri personaggi. Infatti per Terenzio la rappresentazione non è presentata come un "ludus", ma come un'occasione per conoscere se stessi, da ciò scaturisce la solita incomprensione del pubblico del-l'autore (cosa che verrà sottolineata dall'autore stesso nel prologo dell'opera), abituato ancora alle commedie di Plauto che aveva adattato la compostezza dei modelli greci agli effetti più grossolani e immediati della farsa italica; però la capacità dell'autore di innovazione e di ricerca dell'uomo verrà riconosciuta e apprezzata nelle generazioni posteriori. Infatti il suc-cesso delle opere di Terenzio sarà apprezzato per tutto il Medioevo.

Considerata la più moderna delle commedie di Terenzio, l'Hecyra è un dramma borghese che mette in scena conflitti e affet-ti familiari. La psicologia dei personaggi è ricca di sfumature ed approfondita. Particolarmente significativa è la figura di Bacchide, che, pur essendo una cortigiana, ha un animo sensibile e desidera la felicità del giovane Panfilo, tormentato e pa-tetico, in perenne conflitto fra amore e pudore.

LA TRAMA
Panfilo è combattuto tra l'amore per la cortigiana Bacchide e la volontà del padre che vuole fargli sposare Filùmena, una ra-gazza perbene, nonostante il giovane non la ami. Dopo il matrimonio forzato, Panfilo si rifiuta di avere rapporti con la mo-glie, che accetta con rassegnazione ed umiltà i torti del marito.
In realtà Panfilo aveva violentato Filùmena qualche tempo prima, senza sapere chi fosse e senza riconoscerla. Durante la colluttazione, le aveva strappato un anello, facendone poi dono alla sua amante Bacchide
In breve il giovane impara ad apprezzare il pudore di Filùmena e a poco a poco se ne innamora scoprendo un sentimento più profondo dell'attrazione che provava per Bacchide.
Panfilo parte con un servo per un viaggio di affari, senza aver mai toccato la moglie. Quest’ultima, non resta un attimo da sola con i suoceri ed abbandona la casa del marito per tornare a vivere dai genitori.
Un servo riferisce che Filumena ha giustificato il suo allontanamento con motivi di salute, una malattia l’avrebbe costretta a tornare a casa. Tutti gli altri personaggi ritengono che la causa dell’allontanamento sia il continuo conflitto con la suocera Sostrata. È soprattutto il marito di Sostrata ad accusarla di aver reso la vita impossibile a Filumena e di averla costretta ad allontanarsi da casa.
Sostrata si ritiene innocente e in un monologo lungo e toccante si dichiara vittima dei pregiudizi che vogliono tutte le suoce-re ostili alle proprie nuore. Nessuno conosce i motivi reali che hanno indotta la giovane sposa a lasciare la casa, ma tutti i personaggi avanzano supposizioni infondate. Il messaggio che Terenzio vuol trasmettere è che non bisogna giudicare dalle apparenze e lasciarsi guidare dai soliti pregiudizi. La realtà è spesso ben diversa dalle apparenze.
Intanto, Pamfilo ritorna dal viaggio e viene informato dell’accaduto; si reca a casa dei genitori della moglie per constatare di persone le condizioni di salute di Filumena. A casa di Filumena, Pamfilo scopre la verità, ben diversa da ciò che gli altri pensavano. Filumena ha lasciato la casa perché sta per partorire un figlio non di Pamfilo, ma che è stato concepito prima del matrimonio, frutto di una violenza notturna subita da Filumena durante una festa, ad opera di uno sconosciuto ubriaco. In un monologo lungo e patetico, Pamfilo rivela al pubblico questa verità e mette a nudo i suoi sentimenti, il conflitto che si agita in lui fra amore e pudore. Sa che la sua vita senza la moglie sarà una vita vuota, però sa che l’onore e la società lo costrin-gono a separarsi dalla moglie e a non considerare come suo l’alienus puer. Pamfilo non rivela però il vero motivo per cui divorzia per non compromettere il buon nome di Filumena. I due suoceri, all’oscuro della verità, pensano che Pamfilo vo-glia ancora Bacchide e che abbia ripreso la relazione con lei. Vanno a parlare con Bacchide che rivela ai due che non ha più rapporti con Pamfilo dal giorno del matrimonio. Pur essendo una cortigiana, Bacchide accetta un compito che nessun’altra al suo posto avrebbe accettato: andare da Filumena per dirle che Pamfilo la ama. Bacchide è uno dei personaggi più insolito del teatro di Terenzio, perchè si contrappone allo stereotipo della cortigiana, agisce contro i suoi interessi perché affezionata a Pamfilo e vuole la sua felicità.
Bacchide va dunque a parlare a Filumena. Durante la visita la madre di Filùmena nota al dito della cortigiana un anello che apparteneva alla figlia e che Filumena portava la notte in cui aveva subito la violenza e che le era stato strappato dal giova-ne. Bacchide rivela che l’anello le era stato dato da Pamfilo, il giovane stupratore era quindi il marito. La commedia si con-clude con il ristabilimento dell’unione che una serie di equivoci avevano minato.

Notiamo che vengono trattati rigorosamente tutti i classici TOPOI della commedia greca:
il tema dell’innamoramento
il tema dell’esposizione dei figli illegittimi
il tema dell’AGNIZIONE, cioè del riconoscimento
il tema del lieto fine, inteso come il matrimonio

Ma l'HECYRA non ottenne grande successo:
• Le aspettative del pubblico romano
• Le differenze tra Terenzio e Plauto

Sappiamo che Terenzio morì in terra straniera, lontano da Roma, dalla quale s’era allontanato non tanto per studiare in Grecia, bensì amareggiato da quel pubblico che non lo capiva.
La rappresentazione dell’Hècyra fu un fiasco. Persino il terzo tentativo non fu un successo: semplice-mente il pubblico rimase fino alla fine, grazie alle preghiere di TURPIONE, il più bravo attore dell’epoca.

E’ importante dunque capire perchè il pubblico romano non amasse le opere di Terenzio.

Si dice che Terenzio nacque nello stesso anno della morte di Plauto.
Non che sia vero, ma ciò attesta come tutti si aspettassero che Terenzio ne continuasse l’ opera. Ma ciò non avvenne.
Il teatro di Plauto era un TEATRO POPOLARE. Nelle sue commedie il LINGUAGGIO era quello del popolo, che gli spettatori riconoscevano come il proprio modo di esprimersi.
Terenzio, invece, era abituato al linguaggio dei suoi amici nobili. Il suo pubblico ideale era più COL-TO, più composto.
Terenzio sperava di usare un mezzo popolare, quale era la commedia comica, per trasmettere un mes-saggio di sensibilità ed interessi nuovi... ma la gente, a teatro, voleva ridere, voleva divertirsi, voleva sentir parlare i servi di mangiare, di bere e ...naturalmente di sesso.
Non usava l’ESUBERANZA plautina, le sue ACROBAZIE VERBALI, i giochi di parole; evitava rigo-rosamente le espressioni volgari.

La commedia plautina era chiamata MOTORIA, perchè gli attori correvano sul palco, bisticciavano, si inseguivano, creando una gran confusione, che faceva molto ridere.
La commedia di Terenzio era invece chiamata STATARIA perchè i personaggi dovevano catturare l’attenzione del pubblico soltanto con il dialogo. E questo dialogo era parlato, mai cantato.
Terenzio eliminò completamente la CANTICA e la METRICA, niente più versi corti, facili da ricorda-re, da ascoltare, immediati. Tutto al contrario, il dialogo non sembrava nemmeno più una lirica, i versi erano lunghi, non seguivano più alcuna metrica!!

Anche Terenzio, come già aveva fatto Plauto, adattava delle commedie greche. Però non si limitava a tradurle: lui modificava intrecci e personaggi, per il semplice fatto che così com’erano gli parevano po-co VEROSOMIGLIANTI e la ricerca della verosomiglianza, del REALISMO, della credibilità di una scena, costituiva la sua particolare aspirazione.
Ecco, allora, che cercava di complicare tutti gli intrecci, aggiungendo personaggi e situazioni.

Comunque anche lui contaminava le sue commedie, inseriva episodi appartenenti a commedie diverse, personaggi ecc ecc.
Curioso il fatto che Plauto non venne criticato per le contaminazioni mentre a Terenzio venne rimpro-verato anche questo.
Probabilmente ha vissuto un periodo in cui ogni cosa era occasione per far polemica, sia politica che letteraria!

Anche altri fattori determinarono l’insuccesso di Terenzio.
Ai romani piaceva guardarsi in faccia, ossia piaceva vedere se stessi sulla scena, riconoscere le proprie abitudini, gli arredi delle loro case. Plauto lo aveva capito ed ambientava le sue commedie inserendo gli usi ed i costumi romani. Le ambientazioni di Terenzio, invece, erano rigorosamente greche.

Altro che far ridere il pubblico! Terenzio stufava la gente fin dal prologo: è vero che anche Plauto non seguiva esattamente i modelli greci e non raccontava la trama per intero ... ma Terenzio addirittura nel prologo parlava di se stesso, del suo modo di poetare, ne approfittava per difendersi dalle calunnie e spiegava i malintesi a cui era andato incontro. Insomma usava il prologo per far dire all’attore le cose che gli premeva far sapere.
In questo modo, il pubblico, al quale non importava certo delle vicende personali del commediografo, non sapeva cosa avrebbe visto e faceva fatica a seguire la trama della storia.
Il teatro di Terenzio non è comico, nel senso proprio del termine. Lo riconosce persino Cesare, chia-mandolo il Menandro dimezzato, che a Terenzio mancava la VIS ovvero la virtus comica. Ed è vero che l’opera di Terenzio ricorda assai più la commedia menandrea di quella plautina.
Il teatro di Terenzio voleva trasmettere un messaggio morale estraneo alla mentalità romana, che inter-pretava i rapporti interpersonali come basati sull’inganno, sulla violenza e sulle prevaricazioni. Il mes-saggio che vuole trasmettere è quello di aprirsi agli altri, rinunciare all’egoismo, comprendere i propri limiti ed essere indulgenti nei confronti degli errori altrui, essere tolleranti e solidali. A lui si deve il concetto di HUMANITAS, che è quello di RICONOSCERE E RISPETTARE L’UOMO IN OGNI UOMO.
Per questo motivo i sentimenti nobili, come l’amore, l’amicizia, non vengono ridicolizzati. I suoi per-sonaggi non presentano TRATTI CARICATURALI: su di loro Terenzio compie un lavoro di scavo psicologico.
La commedia dell’Hècyra, avrebbe potuto avere un enorme successo, se quella suocera fosse stata bi-sbetica, avesse cercato in mille modi di ostacolare l’amore tra il figlio e la nuora, magari prendendo quest’ultima a bastonate...
Invece Terenzio pensò ad una suocera completamente diversa. Non solo. Terenzio pensò proprio alla DONNA in un modo differente, personaggio ricco emotivamente ed intellettualmente. E’ vero che ri-troviamo il topoi della fanciulla violentata, che i romani vivevano come un fatto normale, ma comincia ad esistere un’elevazione spirituale femminile.
Interessante a questo proposito un articolo apparso in marzo sul Giornale di Brescia dove si chiarisce come vi siano pochissime testimonianze di processi penali di donne romane, proprio perchè esse gode-vano di una scarsa personalità giuridica. Per intenderci, se la donna romana commetteva una colpa, ve-niva uccisa e basta, senza processo.
E’ chiaro quindi che questa nuova elevazione sociale della donna terenziana non è facile da accettare per la mentalità romana di quei tempi.

Difficile scontro con i Germani

Germani, colle exteriore occupato, non longius mille passibus a nostri munitionibus considunt. Ii in silvis equitatum tegunt: Postero die equitibus complent planitiem quae in longitudinem tria milia passuum patet.Praeterea hostes pedestres copias paulum ab eo loco abditas in locis superioribus constituerant. Dato signo, nostri equites circumdantur et tunc pedites proelium committunt. Acriter pugnantum est. Nostri magna virtuale sed gravi difficultate impetum sustinuerunt, denique vires refecerunt et, visis auxiliis supervenientibus, renovaverunt pugnam: ita victoria obtenta est. Saucii sed laeti denique in castra remeaverunt.

I Germani, occupato il colle più esterno, si fermano non più lontano di mille passi dalle nostre fortificazioni, trattengono la cavalleria nei boschi. Il giorno dopo fatta uscire la cavalleria dagli accampamenti, riempiono tutta quella pianura, che dicemmo estendersi per circa tre mila passi, e schierano le truppe di fanteria un poco distanti da quel luogo sui luoghi superiori nascosti. Dato il segnale, i nostri cavalieri erano circondati e allora i fanti iniziarono il combattimento. Si combattè strenuamente. I nostri con grande virtù ma con grave difficoltà sostennero l'impeto, e i fine rifocillarono le forze e, viste le truppe che giungevano, rinnovarono la battaglia: così fu ottenuta la vittoria. I Sauci infine lieti restarono nell'accampamento.

Nova Lexis 1 pagina 416 numero 13

GIUSTIFICAZIONE DELLA PRIMA BUCOLICA (ECLOGA 1) DI VIRGILIO (analisi del periodo e figure retoriche )

Analisi del periodo

Meditarsi - principale
Linquimus - principale
Fugimus - principale
Resinare - infinitiva
fecit - principale
erit - principale
imbuet - principale
errare - infinitiva
ut cernis - incidentale
quae vellem - relativa
permisit - principale
ludere - infinitiva
invideo - principale
turbatur - principale
ago e duco - principale (sinonimi)
reliquit - principale
si...fuisset,protasi...memini,apodosi (per. ipot dell'irrealtà)
sit - principale
Dicunt - principale
putavi - principale
solemus - relativa
depellere
noram,picheperfetto che si traduce con imperf - principale
componere
solebam - principale
extulit - principale
solent - comparativa
fuit - princ
videndi - gerundio che regge l'accusativo
respexit - principale
postquam cadebat - temp
respexit - principale
post tempore venit - coordinata per polisindeto(et)
postquam habet reliquit - temp
fatebor - inciden
dum tenebat - temp
erat - princ
exiret - concessiva
premeretur - conc
redibat - princ
pendere - infini
aberat -
vocabant
facerem - int con valore dubitativo
licebat - princ
conoscere - infin
vidi - princ
cui..fumant - rel
dedit - prin
petenti - partic pres
pascite - princ
summittite - princ
manebunt - princ
qumvis...obducat - concess
temptabunt - princ
Laedent a ulmo TUTTE princ
Ante pascentur - temp
Destituent - princ
Prerratis finibus - abl ass con valore temporale
Bibet - princ
Labatur temp
Ibimus - princ
Veniemus - princ
videns - partic congiunto
mirabor - princ
habebit - princ
produxit - princ valore esclamativo
conscevimus - princ
insere - princ
pone - princ
ite...ite - principali
pendere - infin
videbo - princ
carpetis - princ
poterai - princ
requiescere - infin
sunt - princ
fumant -
cadunt - princ

Figure retoriche


Fortunatae senx: anafora
Hinc..hinc..: anafora
Levi..sussurro: allitterazione, riproduce suono delle api attorno ai fiori
Alta sub rupe: anastrofe per sub alta rupe serve a dare l'idea di uno spazio molto ampio
Raucae palumbae..:assonanza in u per evocare il canto roco dei colombi
Ante:ripreso in anafora
Afros: metonimia per africani.

IL LAMENTO DI MELIBEO (BUCOLICA 1, vv. 46-83 )

Meliboeus

Fortunate senex, ergo tua rura manebunt
et tibi magna satis, quamvis lapis omnia nudus
limosoque palus obducat pascua iunco.
non insueta gravis temptabunt pabula fetas
nec mala vicini pecoris contagia laedent.
fortunate senex, hic inter flumina nota
et fontis sacros frigus captabis opacum;
hinc tibi, quae semper, vicino ab limite saepes
Hyblaeis apibus florem depasta salicti
saepe levi somnum suadebit inire susurro;
hinc alta sub rupe canet frondator ad auras,
nec tamen interea raucae, tua cura, palumbes
nec gemere aeria cessabit turtur ab ulmo.

Tityrus
Ante leves ergo pascentur in aethere cervi
et freta destituent nudos in litore pisces,
ante pererratis amborum finibus exsul
aut Ararim Parthus bibet aut Germania Tigrim,
quam nostro illius labatur pectore vultus.

Meliboeus
At nos hinc alii sitientis ibimus Afros,
pars Scythiam et rapidum cretae veniemus Oaxen
et penitus toto divisos orbe Britannos.
en umquam patrios longo post tempore finis
pauperis et tuguri congestum caespite culmen,
post aliquot, mea regna, videns mirabor aristas?
impius haec tam culta novalia miles habebit,
barbarus has segetes. en quo discordia civis
produxit miseros; his nos consevimus agros!
insere nunc, Meliboee, piros, pone ordine vites.
ite meae, felix quondam pecus, ite capellae.
non ego vos posthac viridi proiectus in antro
dumosa pendere procul de rupe videbo;
carmina nulla canam; non me pascente, capellae,
florentem cytisum et salices carpetis amaras.

Tityrus
Hic tamen hanc mecum poteras requiescere noctem
fronde super viridi. sunt nobis mitia poma,
castaneae molles et pressi copia lactis,
et iam summa procul villarum culmina fumant
maioresque cadunt altis de montibus umbrae.


MEL.: o vecchio fortunato, dunque i campi rimarranno tuoi e abbastanza grandi per te, benché la pietra nuda e la plaude ricopra di giunchi fangosi tutti i pascoli. Pascoli non consueti non attaccheranno le femmine gravide né le danneggeranno le malattie contagiose del gregge vicino. O vecchio fortunato, qui fra questi fiumi noti e queste sacre fonti prenderai il fresco all’ombra.
Di qui, dal vicino confine, la siepe, che (è) sempre succhiata nel fiore di salice dalle api iblee, ti inviterà spesso a cominciare il sonno con un lieve sussurro; di là il potatore canterà al vento sotto l’alta rupe, né tuttavia frattanto le roche colombe, la tua passione, né la tortora cesseranno di tubare dall’alto olmo.
TIT.: Dunque i cervi leggeri pascoleranno nel cielo e i flutti depositeranno sulla spiaggia i pesci nudi e dopo aver vagato entrambi esuli fuori dalle loro città, il Parto berrà l'acqua dell'Arar e il Germano quella del Tigri, prima che il volto di Augusto sia cancellato dal mio cuore.
MEL.: Ma tra noi alcuni andremo da qui presso gli africani assetati, altri in Scizia e perverremo all'Oasse fangoso e ai Britanni del tutto separati dal resto del mondo. Ah, dopo lungo tempo riammirerò, vedendo il suolo della patria e il tetto coperto di zolle erbose della mia povera casupola, già mio regno, delle spighe? Un empio soldato avrà questi maggesi tanto coltivati, un barbaro queste messi: ecco dove ha condotto la guerra civile i miseri cittadini: per costoro abbiamo seminato i campi! Innesta ora i peri, Melibeo; disponi in filari le viti. Andate, o mie caprette, gregge un tempo felice, andate, non io, d'ora in poi, sdraiato in una grotta verdeggiante, vi vedrò sospese lontano a una rupe coperta di rovi; non canterò alcun carme, non brucherete, o caprette, il citiso in fiore e i salici amari mentre vi conduco al pascolo.
TIT.: Tuttavia avresti potuto riposare qui con me questa notte su un verde giaciglio: abbiamo frutta matura, morbide castagne, e abbondanza di formaggio e già i comignoli delle case fumano di lontano, e più grandi scendono le ombre dagli alti monti.

DA TRIA (T3) PAGINA 437-438-439
IL LAMENTO DI MELIBEO (BUCOLICA 1, vv. 46-83 ) VIRGILIO

LA LILIBERTAS DI TITIRO (BUCOLICA 1, vv.26 - 45 )

Meliboeus
Et quae tanta fuit Romam tibi causa videndi?

Tityrus
Libertas, quae sera tamen respexit inertem,
candidior postquam tondenti barba cadebat,
respexit tamen et longo post tempore venit,
postquam nos Amaryllis habet, Galatea reliquit.
namque - fatebor enim - dum me Galatea tenebat,
nec spes libertatis erat nec cura peculi.
quamvis multa meis exiret victima saeptis
pinguis et ingratae premeretur caseus urbi,
non umquam gravis aere domum mihi dextra redibat.

Meliboeus
Mirabar quid maesta deos, Amarylli, vocares,
cui pendere sua patereris in arbore poma.
Tityrus hinc aberat. ipsae te, Tityre, pinus,
ipsi te fontes, ipsa haec arbusta vocabant.

Tityrus
Quid facerem? neque servitio me exire licebat
nec tam praesentis alibi cognoscere divos.
hic illum vidi iuvenem, Meliboee, quot annis
bis senos cui nostra dies altaria fumant,
hic mihi responsum primus dedit ille petenti:
'pascite ut ante boves, pueri, submittite tauros.'


MEL.: E quale fu il motivo così importante per te di vedere Roma?
TIT.: La libertà, che anche se tardiva guardò me che stavo senza far niente dopo che la mia barba cadeva sempre più bianca a me che la tagliavo, mi guardò tuttavia e venne molto tempo dopo, dopo che Amarillide mi tiene sotto il suo potere e Galatea mi ha lasciato. E infatti, lo confesso, finché Galatea mi teneva non c’era coerenza di libertà né cura del borsellino. Sebbene molte vittime uscissero dai miei recinto e formaggio grasso fosse cagliato per l’ingrata città, giammai la mano destra mi ritornava a casa pesante per il denaro.
MEL.: Mi chiedevo con stupore perché mai, o Amarillide, triste invocavi gli dei, per chi lasciavi pendere i tuoi frutti sull’albero; Titiro era là. O Titiro, gli stessi peri, le stesse fonti, questi stessi alberelli, ti chiamavano.
TIT.: Che cosa avrei dovuto fare?Né mi era possibile uscire dalla schiavitù né conoscere altrove divinità così favorevoli. Qui, o Melibeo, vidi quel giovane in onore del quale dodici giorni all’anno fumano i nostri altari; qui quello diede per primo una risposta a me che lo supplicavo: "Pascolate come prima le vacche, ragazzi; allevate i tori".

DA TRIA (T2) PAGINA 434-435-436.
LA LILIBERTAS DI TITIRO (BUCOLICA 1, vv.26 - 45 ) VIRGILIO

MELIBEO E TITIRO, I PASTORI - CONTADINI (BUCOLICA 1 , vv. 1-25 ) VIRGILIO

Meliboeus
Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi
silvestrem tenui Musam meditaris avena;
nos patriae finis et dulcia linquimus arva.
nos patriam fugimus; tu, Tityre, lentus in umbra
formosam resonare doces Amaryllida silvas.

Tityrus
O Meliboee, deus nobis haec otia fecit.
namque erit ille mihi semper deus, illius aram
saepe tener nostris ab ovilibus imbuet agnus.
ille meas errare boves, ut cernis, et ipsum
ludere quae vellem calamo permisit agresti.

Meliboeus
Non equidem invideo, miror magis; undique totis
usque adeo turbatur agris. en ipse capellas
protenus aeger ago; hanc etiam vix, Tityre, duco.
hic inter densas corylos modo namque gemellos,
spem gregis, a, silice in nuda conixa reliquit.
saepe malum hoc nobis, si mens non laeva fuisset,
de caelo tactas memini praedicere quercus.
sed tamen iste deus qui sit da, Tityre,nobis.

Tityrus
Urbem quam dicunt Romam, Meliboee, putavi
stultus ego huic nostrae similem, cui saepe solemus
pastores ovium teneros depellere fetus.
sic canibus catulos similes, sic matribus haedos
noram, sic parvis componere magna solebam.
verum haec tantum alias inter caput extulit urbes
quantum lenta solent inter viburna cupressi .


MELIBEO: O Titiro, tu stando mollemente sdraiato sotto l’ombra di un largo faggio, intoni un canto silvestre con una morbida zampogna, noi lasciamo i confini della patria e i dolci campi coltivati. Noi fuggiamo dalla patria; tu, O Titiro, mollemente sdraiato sotto l’ombra insegni alle foreste a cantare la bella Amarillide.
TITIRO: O Melibeo, un dio ci ha regalato questa pace: e infatti per me quello sarà sempre un dio, e spesso un tenero agnello preso dai nostri ovili bagnerà il suo altare. Egli ha permesso alle mie mucche di vagare, come puoi vedere, e a me stesso di intonare sul flauto ciò che volevo.
MEL.: In verità non ti invidio, piuttosto provo stupore: fino a tal punto da ogni parte c’è scompiglio in tutti i campi. Ed ecco, io stesso, a stento, (benché) debole, spingo avanti le caprette; a malapena, o Titiro, mi porto dietro anche questa. E questa, infatti, poco fa fra i folti noccioli, ha partorito due gemellini, speranza del gregge, e, ahimé, li ha lasciati sulla dura pietra. Ricordo che spesso le querce, colpite dal fulmine, ci predicessero, se la mia mente non fosse stata offuscata, questa sfortuna. Se tuttavia questo dio è qui, diccelo, o Titiro.
TIT.: Io, o Melibeo, stolto ritenni la città che chiamano Roma simile a questa nostra, là dove noi andiamo a vendere i teneri parti delle pecore, così avevo imparato a conoscere i cagnolini simili ai cani, le capretta simile alle madri; così ero solito paragonare le cose grandi alle cose piccole; ma questa ha levato tanto il capo fra le altre città, quanto di solito fanno i cipressi fra i flessuosi viburni.

da pagina 430-431-432-433 (T1) TRIA
MELIBEO E TITIRO, I PASTORI - CONTADINI (BUCOLICA 1 , vv. 1-25 ) VIRGILIO

Notizie per Cesare

Illo tempore a P. Crasso, quem cum legione una miserat ad Venetos, Unellos, Osismos, Coriosolitas, Essuvios, Aulercos, Redones, quae sunt maritimae civitates Oceanumque attingunt, certior factus est omnes eas civitates in dicionem potestatemque populi Romani redactas esse.

Nello stesso(a quel) tempo fu informato da P. Crasso che con una sola legione aveva mandato dai Veneti, Unelli, Osismi, Coriosoliti, Essuvi, Aulirci, Redoni, che sono popoli marittimi e raggiungono l’Oceano, che tutti quei popoli si erano arresi alla volontà ed al potere del popolo romano.

Nova Lexis 1 pagina 285 numero 7

De considii timore et errore

P.Considius,rei militaris peritus, in exercitu L. Sullae et postea in M.crassi fuerat: is cum exploratoribus praemittitur. Prima luce,cum summus mons a Labieno teneretur,Caesar ab hostium castris non longius mille et quingentis passibus abesset neque, ut postea ex captivis comperit , aut eius adventus aut Labieni congitus esset,Considius ad eum accurrit, dicit montem ab hostium teneri: id se Gallics armis atque insignibus cognovisse. Caesar suas copias in proximum collem subducit, aciem instruit.Labienus, ut erat ei praeceptum a Caesare, in montem ab suis teneri et Helvetios castra movisse et considium timore perterrium esse : eum quod non viderant, pro viso sibi renuntiavisse. Eo die consueto intervallo hostes sequitur et milia passuum tria ab eorum castris castra ponit

P. Considio, esperto di arte militare, era stato nell'esercito di Silla e poi in quello di Crasso: egli era mandato avanti con gli esploratori. All'alba, mentre Labieno occupava la cima del monte e Cesare stesso si trovava a meno di un miglio e mezzo dal campo nemico e, come si seppe in seguito da alcuni prigionieri, nessuno si era accorto della sua manovra né di quella di Labieno, sopraggiunge a briglia sciolta. Considio dicendo che il monte che Labieno doveva occupare era invece in mano nemica: aveva riconosciuto lui le armi e le insegne dei Galli. Cesare ritirò le sue truppe su un colle vicino e le schierò a battaglia. Labieno, che aveva ricevuto l'ordine di non attaccare finché non avesse visto le truppe di Cesare in prossimità dell'accampamento nemico, che in tal modo sarebbe stato assalito da due parti, dalla sua postazione attendeva i nostri senza muoversi. Soltanto a giorno inoltrato Cesare apprese dai ricognitori che il monte era occupato dai suoi e che Considio, preso dalla paura, gli aveva detto di aver visto ciò che invece non aveva visto affatto. Quel giorno Cesare seguì i nemici mantenendosi alla solita distanza e pose l'accampamento a tre miglia dal loro.

Nova Lexis 1 pagina 273 numero 11

Un episodio della guerra gallica cesare

Postridie eius diei Caesar praesidio utrisque castris quod satis esse visum est reliquit, alarios omnes in conspectu hostium pro castris minoribus constituit, quod minus multitudine militum legionariorum pro hostium numero valebat, ut ad speciem alariis uteretur; ipse triplici instructa acie usque ad castra hostium accessit. Tum demum necessario Germani suas copias castris eduxerunt generatimque constituerunt paribus intervallis, Harudes, Marcomanos, Tribocos, Vangiones, Nemetes, Sedusios, Suebos, omnemque aciem suam raedis et carris circumdederunt, ne qua spes in fuga relinqueretur. Eo mulieres imposuerunt, quae ad proelium proficiscentes milites passis manibus flentes implorabant ne se in servitutem Romanis traderent.

Il giorno successivo Cesare lasciò in entrambi gli accampamenti un presidio a suo parere sufficiente e dispiegò tutte le truppe degli alleati davanti all'accampamento minore, ben visibili, sfruttandole per ingannare il nemico, dato che i legionari erano inferiori ai Germani, dal punto di vista numerico; sistemato l'esercito su tre linee, avanzò fino all'accampamento dei nemici. Solo allora i Germani furono costretti a condurre fuori le loro truppe e si disposero secondo le varie tribù, a pari distanza le une dalle altre: gli Arudi, i Marcomanni, i Triboci, i Vangioni, i Nemeti, i Sedusi, gli Svevi. Tutto intorno collocarono carri e carriaggi, per togliere a chiunque la speranza di fuggire. Sui carri fecero salire le loro donne, che, mentre essi partivano per combattere, piangevano e con le mani protese li imploravano di non renderle schiave dei Romani.

Nova Lexis 1 pagina 245 numero 4

De gallorum dis

Deum maxime Mercurium colunt. Eius sunt plurima simulacra, eum omnium inventorem artium exsistimant, eum viarum atque itinerum ducem, eum ad quaestus pucuniae mercaturasque habere vim summam putant. Post Mercurium Apollinem et Martem et Iovem et Minervam colunt. De eis similem fare reliquis gentibus habent opinionem: nam censent Apollinem morbos depellere, Minervam operum atque artificiorum initia tradere, Iovem imperium caelestium tenere, Martem bella regere.

Degli dei principalmente venerano Mercurio; di lui ci sono numerosissime immagini, lo ritengono inventore di tutte le attività, protettore delle strade e dei viaggi, ritengono che egli abbia una assai grande influenza nei commerci e nei traffici; dopo questo venerano Apollo, Marte, Giove e Minerva. Intorno a questi hanno circa il medesimo concetto degli altri popoli: che Apollo scacci le malattie, Minerva presieda ai principi delle arti e delle malattie, Giove tenga il comando degli dei, Marte presieda alle guerre.

Nova Lexis 1 pagina 226 numero 12

Una pericolosa abitudine dei Galli

Est autem hoc gallicae consuetudinis, ut et viatores etiam invitos consistere cogant et qui qiusque de quaque re audierit aut cognoverit quaerant et mercatores in oppidis vulgus circumsistat quibusque ex regionibus veniant quasque ibi res cognoverint pronuntiare cogant. His rebus atque auditionibus permoti de summis saepe rebus consilia ineunt, quorum eos in vestigio paenitere neccesse est, cum incertis rumoribus serviant et plerique ad voluntatem eorum ficta respondeant

Cesare, che temeva la debolezza di carattere dei Galli, volubili nel prendere decisioni e per lo più desiderosi di rivolgimenti, stimò di non doversi assolutamente fidare di essi. I Galli, infatti, hanno la seguente abitudine: costringono, anche loro malgrado, i viandanti a fermarsi e si informano su ciò che ciascuno di essi ha saputo o sentito su qualsiasi argomento; nelle città, la gente attornia i mercanti e li obbliga a dire da dove provengano e che cosa lì abbiano saputo; poi, sulla scorta delle voci e delle notizie udite, spesso decidono su questioni della massima importanza e devono ben presto pentirsene, perché prestano fede a dicerie infondate, in quanto la maggior parte degli interpellati risponde cose non vere pur di compiacerli.

Nova Lexis 1 pagina 187 numero 196

Orgetorìge convince i suoi a partire

His rebus adducti et auctoritate Orgetorigis permoti constituerant ea quae ad proficiscendum pertineret comparere iumentorum et carrorum maximum numerum coemere, sementes maximas facere,ut in itinere copia frumenti suppeterent,cum proxim civitatibus pacem et amiciam confirmare. Ad eas res confinciendas biennium sibi satis esse duxerunt, quia in tertium annum profectionem lege confirmaturi erant. Ad eas res conficiendas Orgetorix deligitur. Is sibi legationem ad civitates suscepit,In eo itinere persuadet Castico Sequano,cuius pater regnum in Sequanis multos annos obtinuerat et ab senatu populi Romani amicus appelatus erat,ut regnum in civitate sua occuparet, quod pater ante habuerat.

Spinti da queste cose e scossi dal prestigio di Orgetorige stabilirono di preparare quelle cose che servissero per partire, di comprare il maggior numero possibile di carri e di giumenti, di fare le maggiori seminagioni possibili, perché la scorta di cereali bastasse durante la marcia, di rafforzare la pace e l’amicizia con le popolazioni vicine. Per completare quelle cose ritennero esser loro sufficiente un biennio, stabiliscono per legge la partenza per il terzo anno. Per completare quelle cose è scelto Orgetorige. Egli si assume l’ambasceria per le popolazioni. In quel viaggio persuade Castico, seguano, figlio di Catamantalede, il cui padre aveva tenuto il potere per molti anni tra i Sequani e dal senato era stato chiamato amico del popolo romano, di prendere nella sua nazione il potere, che prima aveva avuto il padre.

Nova Lexis Plus Pagina 146 Numero 150
Lectio Facilior L'ora di Traduzione pag 133 n 115

Velocità di azione e di stile di Cesare

Caesari omnia uno tempore erant agenda: vexillum proponendum erat, quod erat insigne, cum ad arma concurri oporteret; signum tuba dandum; abopere revocandi milites erant, qui paulo longius aggeris petendi causa processerant, arcessendi, acies instruenda erat, milites cohortandi erant, signum dandum erat. Quarum rerum magnam partem temporis brevitas et incursus hostium impediebat. His difficultatibus duae res erant subsidio, scientia atque usus militum, quod superioribus proeliis exercitati.

Tutte le cose dovevano essere fatte da Cesare in un solo tempo: una bandiera doveva essere esposta, ciò che era importante, poiché occorreva correre alle armi; il segno doveva essere dato con una tromba; i soldati dovevano essere richiamati dal lavoro, quelli i quali erano andati avanti un poco più lontano per cercare un argine; la truppa doveva essere messa in fila, i soldati dovevano essere esortati, il segnale doveva essere dato. La brevità del tempo e l'assalto dei nemici impedivano parte di queste importanti attività. A queste difficoltà due cose erano di supporto, la conoscenza e l'esperienza dei soldati, perché, esercitati nelle battaglie precedenti

Nova Lexis Plus Pagina 142 Numero 145

Cesare precede Ariovisto

Cum tridui processisset, nuntiatum est ei Ariovistum cum suis omnibus copiis ad occupandum Vesontionem, quod est oppidum maximum Sequanorum, contendere [triduique viam a suis finibus processisse]. Id ne accideret, magnopere sibi praecavendum Caesar existimabat. Namque omnium rerum quae ad bellum usui erant summa erat in eo oppido facultas, idque natura loci sic muniebatur ut magnam ad ducendum bellum daret facultatem, propterea quod flumen [alduas] Dubis ut circino circumductum paene totum oppidum cingit, reliquum spatium, quod est non amplius pedum MDC, qua flumen intermittit, mons continet magna altitudine, ita ut radices eius montis ex utraque parte ripae fluminis contingant, hunc murus circumdatus arcem efficit et cum oppido coniungit. Huc Caesar magnis nocturnis diurnisque itineribus contendit occupatoque oppido ibi praesidium conlocat.

Dopo tre giorni di marcia gli riferirono che Ariovisto era partito dai suoi territori già da tre giorni e si dirigeva con tutte le truppe verso Vesonzione, la più grande città dei Sequani, per occuparla. Cesare giudicò di dover impedire a ogni costo che Vesonzione cadesse. Infatti, nella città si trovava, in abbondanza, tutto ciò che serve in guerra; inoltre, era così protetta dalla conformazione naturale, da permettere con facilità le operazioni belliche: il fiume Doubs la circonda quasi completamente, come se il suo corso fosse stato tracciato con un compasso; dove non scorre il fiume, in una zona che si estende per non più di milleseicento piedi, sorge un monte molto elevato, la cui base tocca da entrambi i lati le sponde del Doubs. Un muro circonda il monte, lo unisce alla città e ne fa una roccaforte. Cesare qui si diresse, a marce forzate di giorno e di notte. Occupò la città e vi pose un presidio.

Nova Lexis Plus Pagina 142 Numero 144

Cesare e i Biturigi

His suppliciis celeriter coacto exercitu Lucterium Cadurcum, summae hominem audaciae, cum parte copiarum in Rutenos mittit; ipse in Bituriges proficiscitur. Eius adventu Bituriges ad Haeduos, quorum erant in fide, legatos mittunt subsidium rogatum, quo facilius hostium copias sustinere possint. Haedui de consilio legatorum, quos Caesar ad exercitum reliquerat, copias equitatus peditatusque subsidio Biturigibus mittunt. Qui cum ad flumen Ligerim venissent, quod Bituriges ab Haeduis dividit, paucos dies ibi morati neque flumen transire ausi domum revertuntur legatisque nostrisrenuntiant se Biturigum perfidiam veritos revertisse. Bituriges eorum discessu statim cum Arvernis coniungunt.

Con queste crudeltà raccolto velocemente un esercito, manda il caduco Lucterio, uomo di somma spregiudicatezza con una parte delle truppe contro i Ruteni; egli parte contro i Biturigi. Al suo arrivo i Biturigi mandano ambasciatori agli Edui, nella cui protezione si trovavano, per chiedere aiuto, per poter sostenere più facilmente le truppe dei nemici. Gli Edui su consiglio degli ambasciatori, che Cesare aveva lasciato presso l’esercito, mandano truppe di cavalleria e di fanteria in aiuto ai Biturigi. Essendo giunti questi al fiume Loira, che divide i Biturigi dagli Edui, fermatisi lì pochi giorni e non osando attraversare il fiume ritornano in patria e riferiscono ai nostri ambasciatori che temendo la slealtà dei Biturigi. I Biturigi alla loro partenza subito si uniscono agli Arverni.

Nova Lexis Plus Pagina 140 Numero 142

Mai rinunciare a un poeta

Erit igitur, iudices, sanctum apud vos, humanissimos homines, hoc poetae nomen, quod nulla umquam barbaria violavit. Saxa et solitudines voci respondent, bestiae saepe immanes cantu flecuntur atque consistunt: nos, instituti rebus optimis, non poetarum voce movebimur? Homerum Colophonii civem esse dicunt suum, Chii suum vindicant, Salaminii repetunt, Smyrnaei vero suum esse confirmant, itaque etiam delubrum eius in oppido dedicaverunt: permulti alii praeterea pugnant inter se atque contendunt. Ergo illi alienum, quia poeta fuit, post mortem etiam expetunt: nos hunc vivum, qui et voluntate et legibus noster est, repudiabimus?

Sarà dunque santo presso di voi, o giudici, umanissimi uomini, questo nome di poeta, perchè mai violò alcuna barbaria. I sassi e le sole voci risponderanno, spesso le bestie immani saranno piegate dal canto e (consisto): noi, abituati ad ottime cos, non saremo mossi dalla voce dei poeti? I colofoni dicono che Omero sia loro cittadino, quelli di Chio lo rivendicano come proprio, i salamini lo ripetono, quelli di smirne confermano che in verità è il loro, e così anche gli dedicarono un (delubrum) in città: molti altri inoltre combattono tra loro e contendono. Dunque quelli poichè fu poeta dopo la morte lo (expetunt) : noi ripudieremo questo vivo, che è nostro per volontà e leggi?

Nova Lexis Plus Pagina 134 Numero 135

I Grandi condottieri hanno sempre amato i poeti

Quam multos scriptores rerum suarum magnus ille Alexander secum habuisse dicitur! Atque is tamen, cum in Sigeo ad Achillis tumulum astitisset: "O fortunate" inquit "adulescens, qui tuae virtutis Homerum praeconem inveneris!" Et vere. Nam nisi Illias illa exstitisset, idem tumulus, qui corpus eius contexerat, nomen etiam obruisset. Quid? noster hic Magnus, qui cum virtute fortunam adaequavit, nonne Theophanem Mytilenaeum, scriptorem rerum suarum, in contione militum civitate donavit; et nostri illi fortes viri, sed rustici ac milites, dulcedine quadam gloriae commoti, quasi participes eiusdem laudis, magno illud clamore approbaverunt?

Quanti scrittori delle sue imprese si dice abbia avuto al suo seguito Alessandro Magno! Eppure, quando si ferm? davanti al sepolcro di Achille nel Sigeo, disse: "Fortunato, giovane, che trovasti Omero come cantore del tuo valore!". E aveva ragione: senza l`Iliade, infatti, la tomba che ricopriva il suo corpo avrebbe sepolto anche la sua fama. Questo esempio non vi basta? Aggiungerà allora che il nostro Pompeo Magno, valoroso quanto fortunato, durante un`adunata militare, fece dono della cittadinanza al suo biografo Teofane di Mitilene; e i nostri soldati, forti certo, ma rozzi, eccitati dall`ebrezza della gloria come se fossero stati partecipi dello stesso riconoscimento, approvarono quel gesto con alte grida.

Nova Lexis Plus Pagina 132 Numero 130

Tutti hanno vinto

Sed duobus exercitibus eadem eius diei erat opinio: omnes se superiores discessisse extimabant: Afraniani. quod, cum essent omnium indicio inferiores, comminus tam diu stetissent et nostrorum impetum sustinuissent et initio locum tumulumque tenuissent, quae causa pugnae fuerat, et nostros primo congressu terga vertere coegissent; nostri autem, quod iniquo loco atque impari numero quinque horis proelium sostinuissent, quod montem gladiis destrictis ascendissent, quod ex loco superiore terga vertere adversarios coegissent atque in oppidum compulissent. Illi eum tumulum. pro quo pugnatum est, magnis operibus munierunt praesidiumque ibi posuerunt.

Ma fu opinione comune a entrambe le parti di essere risultate vincitrici di questa giornata: quelli di Afranio poiché sebbene a giudizio di tutti sembrassero essere inferiori avevano resistito per così tanto tempo nel corpo a corpo e avevano sostenuto l'impeto dei nostri e dall'inizio avevano tenuto la posizione e il colle e ciò era stato causa di battaglia e nel primo attacco avevano costretto i nostri a darsi alla fuga; i nostri invece poiché avevano retto per cinque ore a una battaglia in posizione sfavorevole con un numero non pari di forze poiché erano saliti sul monte con le spade in pugno poiché avevano costretto gli avversari a fuggire da un luogo elevato e li avevano respinti in città. I soldati di Afranio fortificarono con grandi opere di difesa quella collinetta per la quale si combatté e vi posero un presidio.

Nova Lexis Plus Pagina 120 Numero 121

Cesare ringrazia per la guerra in Spagna

Caesar contione habita Cordubae omnibus generatim gratias agit: civibus Romanis, quod oppidum in sua potestate studuissent habere; Hispanis, quod praesidia expulissent; Gaditanis, quod conatus adversariorum infregissent seseque in libertatem vindicassent; tribunis militum centurionibusque, qui eo praesidii causa venerant, quod eorum consilia sua virtute confirmavissent.

Convocata in Cordova un'assemblea, Cesare porge a tutti un ringraziamento distinto per singole categorie: ai cittadini romani, poichè si erano impegnati a tenere la città in loro potere, agli Spagnoli, poichè avevano scacciato la guarnigione, agli abitanti di Gades, poichè avevano annientato gli sforzi dei nemici e avevano riacquistato la libertà; ai tribuni dei soldati e ai centurioni, che erano giunti lì per la difesa, poichè avevano appoggiato col loro valore le decisioni di quella gente.

Nova Lexis Plus Pagina 118 Numero 116

Cicerone compera statue

Cicero Attico sal. Quod ad me de Hermathena scribis, mihi pergratum est. Est ornamentum Academiae proprium meae, quod et Hermes commune et Minerva singulare est insigne gymnasii. Quare, ut scribis, ceteris quoque rebus quam plurimis meum locum orna! Quae mihi antea signa misisti, ea nondum vidi; in Formiano sunt , quo ego nunc venire cogitabam. Omnia in Tusculanum deportabo. Caietam, si quando abundare incepero, ornabo. Libros tuos conserva et scito eos me meos facere posse. Quod si perficio , supero Crassum divitiis atque omnium vicos et prata contemno.

Cicerone saluta Attico. Ciò che tu mi scrivi a proposito dell'Ermatena mi è graditissimo. È un ornamento appropriato per la mia Accademia, poiché Ermete è comune e Minerva è distintivo specifico del ginnasio. Perciò, come scrivi, abbellisci anche con tutte le altre cose, quante più puoi, il mio spazio. Quelle statue che mi hai mandato prima, non le ho ancora viste; sono nella villa di Formia, dove ora pensavo di recarmi. Trasporterò ogni cosa nella villa di Tuscolo. Abbellirò Gaeta se un giorno comincerò ad averne in abbondanza. Conserva i tuoi libri e sappi che io posso farli miei. Se concludo questo, vinco in ricchezza Crasso e disprezzo poderi e campagne di tutti.

Nova Lexis Plus Pagina 112 Numero 111

Una lettera piena di amore coniugale

Accepi ab Aristocrito tres epistulas, quas ego lacrimis prope delevi; conficior enim maerore, mea Terentia nec meae me miseriae magis excruciant quam tuae vestraeque; ego autem miserior sum quam tu, quae es miserrima,quod calamitas communis est utriusque nostrum, sed culpa mea propria est. Vel legatione vitare periculum vel diligentia et copiis resistere vel cadere fortiter. hoc miserius, turpius, indignius nobis nihil fuit. Quare cum dolore conficior, tum etiam pudore, quia uxori meae optimae, suavissimis liberis virtutem et diligentiam non praestiti; nam mihi ante oculos dies noctesque est squalor vester et maeror et infirmitas valetudinis tuae, spes autem salutis pertenuis ostenditur.

Ho ricevuto da Aristocrito tre lettere, che io ho quasi cancellato con le lacrime; mi struggo infatti nella tristezza, o mia Terenzia, così le mie sventure mi tormentano più delle tue e delle vostre, io invece con questo sono più infelice di te che sei molto sventurata, perchè la medesima disgrazia è comune di entrambi, ma la colpa è solo mia. Sarebbe stato mio dovere o di evitare il pericolo o di resistere con diligenza e con dei mezzi o di cadere coraggiosamente: per noi niente fu più meschino, più turpe e più indegno di questo. Per cui sono afflitto tanto dal dolore, quanto anche dalla vergogna, infatti io mi vergogno di non aver mostrato virtù e zelo alla mia ottima moglie e ai miei dolcissimi figli; infatti mi stanno davanti agli occhi giorno e notte la vostra desolazione e la tristezza e il tuo incerto stato di salute, mentre mi sembra molto debole la speranza di salvezza.

Nova Lexis Plus Pagina 91 Numero 90

La creazione del mondo

Ante mare et terras et caelum unus erat toto naturae vultus in orbe;eum dixerunt chaos: rudis indigestaque moles et tantum pondus iners discordiaque semina rerum. Nullus adhuc mundo praebat lumina titan, nec nova reparabat cornua Phoebe, nec pendebat in aere tellus nec bracchia longo margine terrarum porrexerat Amphitrite; utque erat et tellus illic et pontus et aer, sic erat instabilis tellus, innabilis unda, sine luce aer; nulli sua forma manebat , corpore in uno frigida pugnabant calidis, umentia siccis, mollia cum duris sine pondere gravibus. Deus et natura litem diremit. Nam caelo terras et terris abscidit (separò) undas et liquidum spisso secrevit ab aere caelum.

Prima del mare, delle terre e del cielo unico nel mondo intero era l'aspetto della natura; lo chiamarono Caos: una massa grezza e disordinata,un gran peso inerte, e semi delle cose di natura discordante [discordia, da discors,discordis]. Nessun Titano dava ancora luci al mondo, né Febe [= la luna, Diana] ricostruiva le nuove corna [della luna], né la terra era sospesa nell'aria, né Anfitrite aveva posto le braccia sull'esteso margine delle terre; e come c'era la terra, il mare e l'aria, così la terra era instabile, l'acqua non navigabile, l'aria senza luce; a nessuno la propria forma rimaneva, in uno corpore frigida [soggetto, neutro plurale] pugnabant (cum rebus) calidis, umentia [soggetto, neutro plurale] (pugnabant cum rebus) siccis, mollia [soggetto, neutro plurale] (pugnabant cum rebus) duris, (res) sine pondere (pugnabant cum rebus) gravibus.

Nova Lexis Plus Pagina 71 Numero 65

Avidità di Giulio Cesare

Abstinentiam neque in imperiis neque in magistratibus praestitit. in Hispania pro consule et a socii pecunias emendicavit accepitque in auxilium aeris alieni et Lusitanorum oppida diripuit hostiliter. in Gallia fana templaque deum donis referta expilavit, urbes diruit saepius ob praedam quam ob delictum;taque auro abundabat ternisque milibus nummum in libras promercale per Italiam provinciasque dividit. In primo consulatu tria milia pondo auri eripuit e capitolio et tantundem inaurati aeris reposuit. Societates ac regna pretio dedit; uni Ptolemaeo prope sex milia talentorum suo Pompeique nomine sumpsit. Postea vero evidentibus rapinis ac sacrilegis et onera bellorum civilium et triumphorum ac munerum sustinuit impendia.

Secondo quanto affermano alcuni autori nei loro scritti, quando era proconsole in Spagna, non si fece riguardo di prendere denaro dai suoi alleati, dopo averlo mendicato, per pagare i suoi debiti, e distrusse, come nemiche, alcune città dei Lusitani, sebbene non si fossero rifiutate di versare i contributi imposti e gli avessero aperto le porte al suo arrivo. In Gallia spogliò le cappelle e i templi degli dei, piene di offerte votive e distrusse città più spesso per far bottino che per rappresaglia. In tal modo arrivò ad essere così pieno d'oro da farlo vendere in Italia e nelle province a tremila sesterzi la libbra. Durante il suo primo consolato sottrasse dal Campidoglio tremila libbre d'oro e le rimpiazzò con un peso uguale di bronzo dorato. Concesse alleanze e regni, dietro versamento di denaro, e al solo Tolomeo estorse, a nome suo e di Pompeo, circa seimila talenti. È chiaro quindi che grazie a queste evidenti rapine e a questi sacrilegi poté sostenere sia gli oneri delle guerre civili, sia le spese dei trionfi e degli spettacoli.

Nova Lexis Plus Pagina 70 Numero 64

Origini della gens Flavia

Rebellione trium principum et caede incertum diu et quasi vagum imperium suscepit firmavitque tandem gens Flavia, obscura illa quidem ac sine ullis maiorum imaginibus, sed tamen rei p. Nequaquam paenitenda; constet licet, Domitianum cupiditatis ac saevitiae merito poenas luisse. T. Flavius Petro, municeps Reatinus, bello civili Pompeianarum partium centurio an evocatus, profugit ex Pharsalica, acie domumque se contulit, ubi deinde venia et missione impetrata coactiones argentarias factitavit. Huius filium, cognomine Sabinus, expers militiae (etsi quidem eum primipilarem, nonnulli, cum adhuc ordiens duceret, sacramento solutum per causam valitudinis tradunt) publicum quadragesimae in Asia egit; manebantque imagines a civitatibus ei positae sub hoc titulo: kalos telonesanti. Postea faenus apud Helvetios exercuit ibique diem obiit superstitibus uxore Vespasia Polla et duobus ex ea liberis, quorum maior Sabinus ad praefecturam urbis, minor Vespasianus ad principatum usque processit.

L'Impero, reso a lungo instabile e quasi vacillante dalla rivolta e dalla morte di tre principi, fu alla fine raccolto e consolidato dalla famiglia Flavia, che fu senza dubbio oscura e senza antenati degni di rilievo, ma di cui, ad ogni modo, lo Stato non ebbe mai motivo di rammaricarsi, anche se è noto che Domiziano pagò giustamente il fio della sua cupidigia e della sua crudeltà. T. Flavio Petrone, originario del municipio di Rieti, centurione o richiamato dell'armata di Pompeo durante la guerra civile, dopo la battaglia di Farsalo se ne fuggì e si ritirò nel suo paese dove, più tardi, ottenuto il perdono e il congedo, esercitò la professione di cassiere delle vendite all'asta. Suo figlio, soprannominato Sabino, estraneo al mestiere militare (anche se alcuni dicono che era primipilo ed altri che fu esentato dal servizio per ragioni di salute quando era ancora comandante di centuria), fu esattore dell'imposta del quarantesimo in Asia; erano rimaste perfino alcune statue che le città gli avevano eretto con questa iscrizione: "All'esattore onesto." Praticò poi il mestiere dell'usuraio presso gli Elvezi, dove morì lasciando una vedova, Vespasia Polla, e i due figli che ne aveva avuto; il maggiore, Sabino, arrivò ad essere prefetto di Roma, il minore, Vespasiano, giunse fino alla conquista del potere.

Nova Lexis Plus Pagina 70 Numero 63

Origini della gens Flavia

Rebellione trium principum et caede incertum diu et quasi vagum imperium suscepit firmavitque tandem gens Flavia, obscura quidem ac sine maiorum imaginibus, sed tamen rei publicae nequaquam ignominiosa; constabat, tamen, Domitianum cupiditatis ac saevitiae merito poenas luisse. T. Flavius Petro, municeps Reatinus, bello civili Pompeianarum partium centurio evocatus profugit ex Pharsalica acie domumque se recepit, ubi deinde veniam et missionem impetravit et coactiones argentarias factitavit. Eius filius, cognomine Sabinus, expers militiae publicum quadragesimae in Asia egit: imagines a civitatibus ei positae sunt et nunc manent. Postea faenus apud Helvetios exercuit ibique decessit; ei superstes erant uxor Vespasia Polla et duo ex ea liberi; Sabinus ad praefecturam urbis, Vespasianus ad principatum usque processit.

L'Impero, reso a lungo instabile e quasi vacillante dalla rivolta e dalla morte di tre principi, fu alla fine raccolto e consolidato dalla famiglia Flavia, che fu senza dubbio oscura e senza antenati degni di rilievo, ma di cui, ad ogni modo, lo Stato non ebbe mai motivo di rammaricarsi, anche se è noto che Domiziano pagò giustamente il fio della sua cupidigia e della sua crudeltà. T. Flavio Petrone, originario del municipio di Rieti, centurione o richiamato dell'armata di Pompeo durante la guerra civile, dopo la battaglia di Farsalo se ne fuggì e si ritirò nel suo paese dove, più tardi, ottenuto il perdono e il congedo, esercitò la professione di cassiere delle vendite all'asta. Suo figlio, soprannominato Sabino, estraneo al mestiere militare (anche se alcuni dicono che era primipilo ed altri che fu esentato dal servizio per ragioni di salute quando era ancora comandante di centuria), fu esattore dell'imposta del quarantesimo in Asia; erano rimaste perfino alcune statue che le città gli avevano eretto con questa iscrizione: "All'esattore onesto." Praticò poi il mestiere dell'usuraio presso gli Elvezi, dove morì lasciando una vedova, Vespasia Polla, e i due figli che ne aveva avuto; il maggiore, Sabino, arrivò ad essere prefetto di Roma, il minore, Vespasiano, giunse fino alla conquista del potere.

Nova Lexis Plus Pagina 70 Numero 63