VIZI DEI ROMANI E VIRTU' DEI BARBARI : IL MATRIMONIO

Quamquam severa illic matrimonia, nec ullam morum partem magis laudaveris. Nam prope soli barbarorum singulis uxoribus contenti sunt, exceptis admodum paucis, qui non libidine, sed ob nobilitatem plurimis nuptiis ambiuntur. Dotem non uxor marito, sed uxori maritus offert. Intersunt parentes et propinqui ac munera probant, munera non ad delicias muliebres quaesita nec quibus nova nupta comatur, sed boves et frenatum equum et scutum cum framea gladioque. In haec munera uxor accipitur, atque in vicem ipsa armorum aliquid viro adfert: hoc maximum vinculum, haec arcana sacra, hos coniugales deos arbitrantur. Ne se mulier extra virtutum cogitationes extraque bellorum casus putet, ipsis incipientis matrimonii auspiciis admonetur venire se laborum periculorumque sociam, idem in pace, idem in proelio passuram ausuramque. Hoc iuncti boves, hoc paratus equus, hoc data arma denuntiant. Sic vivendum, sic pereundum: accipere se, quae liberis inviolata ac digna reddat, quae nurus accipiant, rursusque ad nepotes referantur. Ergo saepta pudicitia agunt, nullis spectaculorum inlecebris, nullis conviviorum inritationibus corruptae. Litterarum secreta viri pariter ac feminae ignorant. Paucissima in tam numerosa gente adulteria, quorum poena praesens et maritis permissa: abscisis crinibus nudatam coram propinquis expellit domo maritus ac per omnem vicum verbere agit; publicatae enim pudicitiae nulla venia: non forma, non aetate, non opibus maritum invenerit. Nemo enim illic vitia ridet, nec corrumpere et corrumpi saeculum vocatur. Melius quidem adhuc eae civitates, in quibus tantum virgines nubunt et eum spe votoque uxoris semel transigitur. Sic unum accipiunt maritum quo modo unum corpus unamque vitam, ne ulla cogitatio ultra, ne longior cupiditas, ne tamquam maritum, sed tamquam matrimonium ament. Numerum liberorum finire aut quemquam ex adgnatis necare flagitium habetur, plusque ibi boni mores valent quam alibi bonae leges.


Per altro i rapporti coniugali sono severi e, nei loro costumi, nulla v'è che meriti altrettanta lode. Infatti, quasi soli fra i barbari, sono paghi di una sola moglie, salvo pochissimi, e non per sete di piacere, ma perché, a causa della loro nobiltà, sono oggetto di molte offerte di matrimonio. La dote non la porta la moglie al marito, ma il marito alla moglie. Intervengono i genitori e i parenti e valutano i doni, scelti non per soddisfare i piaceri femminili o perché se ne adorni la nuova sposa, ma consistenti in buoi, in un cavallo bardato, in uno scudo con framea e spada. Come corrispettivo di tali doni si riceve la moglie, che, a sua volta, porta qualche arma al marito: questo è il vincolo più solido, questo l'arcano rito, queste le divinità nuziali. E perché la donna non si creda estranea ai pensieri di gloria militare o esente dai rischi della guerra, nel momento in cui prende avvio il matrimonio, le si ricorda che viene come compagna nelle fatiche e nei pericoli, per subire e affrontare la stessa sorte, in pace come in guerra: questo significano i buoi aggiogati, questo il cavallo bardato, questo il dono delle armi. Così deve vivere, così morire: sappia di ricevere armi che dovrà consegnare inviolate e degne ai figli, che le nuore riceveranno a loro volta, per trasmetterle ai nipoti.
Vivono dunque in riservata pudicizia, non corrotte da seduzioni di spettacoli o da eccitamenti conviviali. Uomini e donne ignorano egualmente i segreti delle lettere. Rarissimi, tra gente così numerosa, gli adulterii, la cui punizione è immediata e affidata al marito: questi le taglia i capelli, la denuda e, alla presenza dei parenti, la caccia di casa e la incalza a frustate per tutto il villaggio. Non esiste perdono per la donna disonorata: non le varranno bellezza, giovinezza, ricchezza, per trovare un marito. Perché là i vizi non fanno sorridere e il corrompere e l'essere corrotti non si chiama moda. Ancora più austere sono le tribù in cui solo le vergini si sposano e la speranza e l'attesa del matrimonio si appagano una volta sola. Un solo marito ricevono così come hanno un solo corpo e una sola vita, perché il loro pensiero non vada oltre e non si prolunghi il desiderio e perché amino non tanto il marito, bensì il matrimonio. Limitare il numero dei figli o ucciderne qualcuno dopo il primogenito è considerata colpa infamante e lì hanno più valore i buoni costumi che non altrove le buone leggi.

PAGINA 829 (T3) DA TRIA

(GERMANIA,18 - 19) TACITO

Prodigi annunciano la guerra civile

Cum C. Octavius Romam pervenit, multa prodigia evenerunt. Tabulae aeneae ex aede Fidei turbine evulsae sunt, aedis opis valvae fractae, arbores radicitus et pleraque tecta eversa, fax caelo ad occidentem apparuit, stella per dies septem insignis arsit. Soles tres fulserunt, circaque solem imum corona spiceae similis in orbem emicuit, et postea sol in unum circulum redactus est et multis mensibus languida lux fuit. In aede Castoris nominum litterae Antonii et Dolabellae consulum excussae sunt, itaque consulibus alienatio a patria significata est. Canum ululatus nocte ante domum auditi sunt; grex piscium in sicco reciproco maris fluxu relictus est. Padus inundavit et intra ripam ingentem viperarum vim reliquit. Postea, inter Caesarem et Antonium civilia bella fuerunt.

Quando Gaio Ottavio giunse a Roma, sucessero molti prodigi. Tavole di bronzo furono trascinate via dal tempio della Fede da una tromba d’aria, furono sradicati, apparve nel cielo una fiaccola ad Occidente. Le porte del tempio di Opi furono rotte, una stella arse osservabile per sette giorni. Splendettero tre soli, e attorno al sole più basso divampò nel cerchio una corona simile ad una spiga, e poi il sole fu diretto su un’unica orbita e durante molti mesi la luce fu debole. Nel tempio di Castore le lettere dei nomi dei consoli Antonio e Dolabella furono scosse via, perciò per i consoli fu preannunciato l’allontanamento dalla patria. Di notte davanti a casa furono uditi ululati di cani. Un branco di pesci fu lasciato al secco da un flusso di mare reciproco. Il po straripò e dentro la riva lasciò una grande quantità di vipere. Poi, fra Cesare e Antonio ci furono le guerre civili.

Nova Lexis Plus Pagina 69 Numero 62

Prodigi nell'anno di arrivo di Ottaviano a Roma

Octavius testamento Caesaris patris Brundisii se in Iuliam gentem adscivisse contendebat. Cumque hora diei tertia cum ingenti multitudine in Urbem intravit, tradunt solem puri ac sereni caeli orbe modico inclusum esse extremae lineae circulo, ut tenditur arcus in nubibus, et eum circumscripsisse. Omnibus constat, cum ludos Veneris Genetricis pro collegio fecit, stellam hora undecima crinitam sub septentrionis sidere apparuisse et convertisse omnium oculos. Sidus, quia ludis Veneris apparuit, divo Iulio insigne capitis consecrari placuit.

Ottaviano pretendeva di essersi inserito nella famiglia Giulia a Brindisi per testamento del padre Cesare. E quando entrò nella città nella terza ora del giorno con una folla smisurata raccontano che il sole sia stato racchiuso in un piccolo disco di cielo sereno e limpido, all'orizzonte, come l'arco è teso nelle nubi, e che lo avesse circoscritto. tutti sanno, che, quando fece i giochi di Venere Genitrice davanti all'assemblea una stella cometa nell'undicesima ora apparve sotto la costellazione del settentrione e fece girare gli occhi di tutti. Poichè apparve durante i giochi di Venere, piacque che la stella straordinaria del capo fosse consacrata al divino Giulio.

Nova Lexis Plus Pagina 69 Numero 61

Prodigi nell'anno di arrivo di Ottaviano a Roma

Igitur, postquam comitia habita sunt, consules declarantur M. Tullius et C. Antonius. Id primo populares coniurationes concusserat. Neque tamen Catilinae furor minuebatur, sed in dies multa egitabat: dicebant eum arma per Italiam locis opportunis parare, pecuniam sua aut amicorum fide sumptam mutuam Faesulas ad Manlium portare. Ea tempestate multos omnis generis homines ad adscivisse sibi tradunt, mulieres etiam multas; eae primo ingentes sumptus stupro corporis toleraverant, post ubi aetas tantummodo quaestui neque luxiuriae modum facerat, aes alienum grande conflaverant. Per eas se Catilina credebat posse servitia urbana sollicitare, urbem incentere, viros earum vel adiungere sibi vel interficere.

Dunque, dopo che i comizi si erano riuniti, vennero dichiarati consoli M Tullio e C Antonio. Questo fatto, in un primo momento aveva scosso i complici della cospirazione. Ne tuttavia veniva indebolita la rabbia di Catilina, ma di giorno in giorno aumentava. distribuì le armi per i luoghi più strategici dell’Italia, portò il uo denaro e quello degli amici in prestito per fede a Fiesole, a Manlio, che, dopo, fu il fautore della guerra. Dicono che molti uomini di ogni genere ascrivesse a lui, anche molte donne , che in un primo momento avevano tollerato ingenti spese per lo stupro del corpo, dopo, infiammarono il debito in modo grandioso, quando solamente l’età ne aveva fatto un modo di guadagno e non di lussuria. Attraverso di loro, Catilina pensava potesse sollecitare le servitù urbane, incendiare la città, e uccidere o stringere a se i suoi uomini valorosi.

Nova Lexis Plus Pagina 68 Numero 60

La morte di Cesare

Conspirati Caesarem circumsteterunt, ilicoque Cimber Tullius propius accessit et ab utroque umero togam adprehendit: deinde Caesar clamavit:"Ista quidem vis est!", sed alter e Cascis aversum vulnerat paulum infra iugulum. Caesar Cascae brachium arripuit et graphio traiecit, sed princeps prosilire non potuit, quia alio vulnere tardatus est; utque animadvertit undique se pugionibus peti, toga caput oblolvit, simul sinistra manu sinum ad ima crura deduxit, quo honestius caderet. Atque ita multis plagis confossus est neque gemitum neve vocem edidit; tamen, tradiderunt Caesarem Marco Bruto dixisse:"Tu quoque, fili".

I cospiratori circondarono Cesare,e subito Cimbro Tullio andò più vicino e gli afferrò la toga alle spalle: quindi Cesare gridò: "Ma questa è violenza!", ma l'altro dei Casca lo ferì da dietro poco sotto la gola. Cesare, afferrato il braccio del Casca, lo colpì con lo stilo, ma il sovrano non potè buttarsi in avanti, poiché fu fermato da un altro colpo; quando si accorse che lo aggredivano da tutte le parti con i pugnali nelle mani, si avvolse la toga attorno al capo e con la sinistra ne fece scivolare il lembo fin in fondo alle gambe, per morire con maggiore decenza.
E così fu trafitto da molte pugnalate e non emise né un lamento né voce; tuttavia, si narra che Cesare disse a Marco Bruto: "Anche tu, figlio mio".

Nova Lexis Plus Pagina 68 Numero 59

Quanti dèi e quanti nomi!

Ioves fuerunt tres: primus in Arcadia Aetheris filius; ei etiam Aetherius cognomen fuit; is primum Solem procreavit. Secundus ibidem in Arcadia et Saturnius cognominatur; is ex Proserpina Liberum patrem procreavit, vini inventorem. Tertius Cretae Saturni et Opis filius, Optimus Maximus est appellatus. Martes fuerunt duo: primus et noster Mars seu Marspiter et aliter Mars Enyus dicitur; secundus ex Iove et Iunione. Sole fuerunt quinque: primus Iovis filius; secundus Hyperionis; tertio, Nili filio, honori Aegyptus est consecrata; quartus Rhodi genitus est; ei Zmintheus est filius; quinto Colchi filio, Circe et Medea et Phaeton filii sunt.

Giove furono tre: il primo in Arcadia figlio dell'Etere; egli ebbe anche per soprannome Etereo; egli per prima cosa procreò il Sole. Il Secondo ugualmente in Arcadia e fu soprannominato Saturnio; egli procreò da Proserpina il padre Libero, inventore del vino. Il Terzo a Creta, figlio di Saturno e di Opi, fu chiamato Ottimo Massimo. I Marte furono due: il primo e nostro Marte ovvero Padre Marte è detto anche in un altro modo Marte Enio; il secondo da Giove e Giunone. I Sole furono cinque: il primo figlio di Giove; il secondo di Iperione; in onore al terzo, figlio del Nilo, fu consacrato l'Egitto; il quarto fu generato a Rodi, ha per figlio Sminteo; il quinto, figlio di Colco, ha per figli Circe e Medea e Fetonte

Nova Lexis Plus Pagina 68 Numero 58