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HISTORIA SUPER LIBRIS SIBYLLINIS AC DE TARQUINIO SUPERBO

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In antiquis annalibus memoria super libris Sibyllinis haec prodita est. Anicula hospita atque incognita ad Tarquinium Superbum venit et novem libros portavit; eos putabat divina oracula et vendere desiderabat. Tarquinius pretium quaesivit. Illa nimium atque immensum pretium poposcit; in regia aula ridebatur et strepebatur, de feminae insania dicebatur; Tarquinius quoque aniculam derisit. Tum illa foculum coram apponit, tres libros deurit et libris reliquis idem pretium petit. Sed tarquinius propter feminae postulatum multo magis risit et dixit: "Anicula,tu iam procul dubio deliras!" Femina ibidem stati tres alios libros exussit atque ipsum pretium denuo placide rogavit. Ille vultu iam serio atque attento animo feminae constantiam confidentiamque non contemnit et libros tres reliquos emit bihilo minore pretio. Sed ea tunc a Tarquinio discessit et postea numquam visa est. Libri tres in sacrarium conditi sunt et "Sibyllini" appellati; ad eos quasi ad oraculum quindecimviri veniunt, cum di publice consuluntur.

Negli antichi annali è rivelata la memoria ai libri Sibillini. Una vecchietta venne ospite a Tarquinio il Superbo e portò nove libri, li riteneva oracoli divini e desiderava venderli. Tarquinio chiese il corrispettivo valore. Quella pretese molto e immensamente il loro valore; nel cortile della reggia rideva e mormorava a proposito, la donna diceva in follia; Tarquinio derise la vecchietta allora quella pose un fuoco dinanzi a lui e bruciò tre libri ed ai libri rimanenti chiese lo stesso prezzo. Ma Tarquinio vicino alla richiesta della donna rise molto più e disse:”Vecchia tu ora deliri senza dubbio!” la donna nello stesso luogo con calma bruciò altri tre libri e chiese nuovamente con calma lo stesso prezzo. Quello con il volto serio e con l’animo fermo non sottovalutò la costanza e fiducia della donna che chiese dei tre libri rimanenti lo stesso prezzo. Ma ella allora si allontanò da Tarquinio e poi non venne mai più vista. I tre libri sono conservati nel sacrario e sono chiamati “Sibillini”; essi sono quasi un oracolo e i quindici viri arrivano quando sono di pubblica consultazione.

da nova lexis 1 A-D pagina 151 numero 1

Non si chiede un perdono anticipato

Iuste venusteque admodum reprehendisse dicitur Aulum Albinum M. Cato. Albinus, qui cum L. Lucullo consul fuit, res Romanas oratione Graeca scriptitavit.In eius historiae principio scriptum est ad hanc sententiam: neminem suscensere sibi convenire, si quid in his libris parum composite aut minus eleganter scriptum foret; "nam sum" inquit "homo Romanus natus in Latio, Graeca oratio a nobis alienissima est", ideoque veniam gratiamque malae existimationis, si quid esset erratum, postulavit. Ea cum legisset M. Cato: "Ne tu," inquit "Aule, nimium nugator es, cum maluisti culpam deprecari, quam culpa vacare. Nam petere veniam solemus, aut cum inprudentes erravimus aut cum compulsi peccavimus. Tibi," inquit "oro te, quis perpulit, ut id committeres, quod, Priusquam faceres, peteres, ut ignosceretur?". Scriptum hoc est in libro Corneli Nepotis de inlustribus viris XIII.

Si dice che Marco Catone giustamente ed elegantemente riprese A.Albino. Aulo Albino, che fu console insieme a Lucio Lucullo, scrisse le vicende storiche di Roma nella lingua Greca. All'inizio di questa storia è stato scritto che non era bene che qualcuno si adirasse con lui se allora qualcosa fosse stato scritto poco ordinatamente o meno elegantemente. "Infatti sono" disse "un uomo romano, la lingua greca da noi è lontanissima", perciò è evidente che Albino avesse chiesto perdono se qualcosa fosse sbagliata. Marco Catone dopo che lesse ciò disse: "Veramente tu Aulo sei troppo sciocco, poichè hai preferito allontanare la colpa anzicchè attenderla. Infatti siamo soliti chiedere scusa o quando abbiamo sbagliato imprudenti o quando abbiamo sbagliato costretti. ti chiedo - disse- chi ti ha instigato a chiedere che ti fosse perdonato ciò che hai fatto prima d'averlo fatto?". Ciò fu scritto nel XIII libro di Conrnelio Nepote sugli uomini illustri.

Nova Lexis 2 pagina 305 esercizio n.7

PLUTARCO E LO SCHIAVO

Plutarchus, philosophus ac doctus vir, servum superbum ac philosophiae peritum habebat. Aliquando (Un giorno) servo suo - causam nescio - tunicam detrahit et loro eum (lo) caedit. Servus, dum (mentre) a Plutarcho verberatur, clamat: "Cur vapulo (Perchè vengo bastonato)? Equidem (Di certo) flagellum non mereo!". Tum Plutarcho oblatrat et verba obiurgatoria dicit: "Servus tuus a te (da te) verberabatur sed ira, ut libellus tuus adfirmat, ignominiosa est. Verus philosophus ergo non es!". Tum ita Plutarchus leniter respondetur: "Oculos truculentos non habeo, nec turbidos, neque immaniter clamo neque dedecorosa verba dico neque omnino (nè assolutamente) trepido ac gestio. Haec (Questi, nom. n. plur.) irae signa sunt".


Plutarco, filosofo e uomo dotto, aveva un servo superbo ed esperto di filosofia. Una volta al suo servo (ne ignoro la causa) tolse la tunica e lo percosse con una cinghia. Il servo, mentre veniva picchiato da Plutarco, esclamò : "perchè vengo picchiato? Certamente non merito il flagello!" Allora inveisce contro Plutarco e pronuncia parole : "Il servo tuo viene picchiato da te, ma l'ira crudele, come il tuo libro afferma, è ignobile. Allora non sei un vero filosofo!". Allora Plutarco mitemente gli rispose: "Non ho occhi furiosi, nè torbidi, e nè grido spasmodicamente , nè pronuncio parole indecorose, nè di certo tremo o gesticolo. Questi sono i segni dell'ira" .

da nova lexis 1 A-D pag. 89 n° 12

La parsimonia di Catone il Censore

M.Cato consularis et censorius in publicis iam privatisque opulentis rebus villas suas inexcultas et rudes ne tectorio quidem praelitas fuisse dicit ad annum usque aetatis suae septuagesimum. Atque ibi postea his verbis utitur: inquit . Tum deinde addit: . Haec mera veritas Tusculani hominis egere se multis rebus et nihil tamen cupere dicentis plus hercle promovet ad exhortandam parsimoniam sustinedamque inopiam quam Graecae istorium praestigiae philosophari sese dicentium umbrasque verborum inanes fingentium, qui se nihil habere et nihil tamen egere ac nihil cupere dicunt, cum et habendo et egendo et cupiendo ardeant.

Marco Catone, ex console e censore, dice che mentre lo stato e i privati vivevano nell'abbondanza, le sue case di campagna erano rimaste trascurate e disadorne e neppure eran state intonacate all'interno, mentre egli era arrivato all'età di settant'anni. E usa queste parole in proposito: "Io non posseggo né casa, né vasellame, né guardaroba di gran prezzo, non ho schiavi costosi né serva. Se v'è qualcosa che possa usare, ne uso; se non v'è, ne faccio a meno. Per parte mia ritengo che ciascuno debba usare e godere di ciò che ha". Ed aggiunge: "Mi viene rinfacciato che manco di molte cose; ma io dico a costoro che non sanno farne senza".Questa semplice verità dell'uomo di Tuscolo, che diceva di mancare di molte cose, ma di non desiderare nulla, ha per Dio, assai maggior influenza nell'esortare la gente alla parsimonia e nel far loro sopportare le privazioni, che non le greche sofisticherie di coloro che si dichiarano filosofi ed inventano vacue finzioni di parole, dichiarando che nulla posseggono e tuttavia nulla loro manca e nulla desiderano, mentre in realtà posseggono e ardono dal desiderio che nulla loro manchi.

Nova Lexis (2) Pagina 207 Numero 11

Il senso dello Stato di Fabrizio

Fabricius Luscinus vir magnis rebus gestis fuit et dignus magna gloria. P. Cornelius Rufinus manu quidem strenuus et bellator bonus militarisque disciplinae peritus admodum fuit, sed furax homo et avaritia acri erat. Hunc Fabricius non probabat neque amico utebatur osusque fuit eum morum eiuis causa. Sed cum in temporibus rei diffìcillimis consules creandi essent et is Rufinus peteret consulatum competitoresque eius essent imbelles quidam et futtiles, summa ope adnixus est Fabricius ut Rufìno consulatus deferretur. Eam rem plerisque admirantibus, quod hominem avarum, cui erat inimicissimus, creari consulem vellet, «Malo» inquit «civis me compilet quam hostis vendat». Hunc Rufinum postea bis consulatu et dictcatura functum censor Fabricius senatu movit ob luxuriae notam, quod decem pondo libras argenti facti haberet.

Fabrizio Luscino era un uomo importante per le imprese e degno di grande gloria. P.C. Rufino fu certamente ardito in battaglia e un guerriero capace e molto esperto di disciplina militare, ma era un uomo rapace e di una terribile avidità. Fabrizio non apprezzava costui né era suo amico e lo odiò a causa dei suoi costumi. Ma poiché i consoli dovevano essere eletti in circostanze molto difficili per lo Stato e Rufino ambiva al consolato e i suoi rivali erano inoffensivi e frivoli, con ogni mezzo Fabrizio si adoperò affinché il consolato venisse assegnato a Rufino. Dato che i più si meravigliavano di questa cosa, cioè del fatto che volesse che fosse eletto console un uomo avido, al quale era molto ostile, disse: “Preferisco che un concittadino mi bastoni piuttosto che un nemico mi venda”. In seguito Fabrizio, in qualità di censore, rimosse questo Rufino, che aveva esercitato due volte il consolato e la dittatura, per essere stato bollato di sfarzo, perché possedeva 10 libbre d’argento lavorato.

Nova Lexis 2 pag 205 esercizio n 6



Un esempio relativo al re Tarquinio

Quedam anus (vecchia) hospita atque incognita videtur olim ad Tarquinium regem se contulisse, novem libros secum ferens, quos divina oracula continere dicebat et vendere cupiebat. Cum Tarquinius pretium percontatus esset, anus nimiam atque immensam pecuniam petivit; quasi anus aetate desiperet rex derisit. Tum illa, foculo (braciere) cum igni ante eum posito, tres ex novem libris combussit (bruciò) et ex eo num sex reliquos eodem pretio emere (comprare) vellet quaesivit. Sed tarquinio, multo magis ridenti, anus sine dubio delirare visa est. At mulier ibidem statim, aliis tribus libris combustis, placide ex rege iterum quaesivit num reliquos tres libros eodem pretio emere vellet. Tum Tarquinius ore serio ac animo attentiore factus est; nam mulierem tam constantem securamque de se contemnendam sibi non esse putavit; itaque libros statim maximo pretio emit. Cum a Tarquinio anus abisset, nemo umquam quo ea se contulisset scivit: quod nusquam loci iam visa est.

Sembra che una volta una vecchia straniera e sconosciuta si sia recata dal re Traquinio, portando con sé nove libri, che diceva contenessero gli oracoli sacri e desiderava venderli. Quando Tarquinio domandò il prezzo, la vecchia chiese un’eccessiva e smirurata quantità di denaro; come se la vecchia con l’età avesse perso il senno, il re allora la derise. Allora quella, dopo aver messo un braciere con il fuoco davanti a lui, bruciò tre dei nove libri e gli chiese se voleva comperare i sei rimanenti allo stesso prezzo. Ma a Tarquinio, che rideva molto di più, la vecchia senza dubbio sembrò delirare. Ma la donna immediatamente in quello stesso luogo, dopo aver bruciato gli altri tre libri, tranquillamente per la seconda volta chiese al re se voleva comperare i tre restanti libri allo stesso prezzo. Allora Tarquinio divenne dal volto derio e con l’animo più attento; infatti ritenne di non dover sottovalutare una donna tanto insistente e sicura di sé; pertanto acquistò subito i libri al prezzo più alto. Quando la vecchia si fu allontanata da Tarquinio, nessuno seppe mai dove ella si fosse rifugiata: poiché non fu vista più in nessun posto.

Nova Lexis 2 pag 123 esercizio n 7