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Seneca - La fine del Mondo

Nihil quo stat loco stabit, omnia sternet abducetque secum vetustas. Nec hominibus solum (quota enim ista fortuitae potentiae portio est?), sed locis, sed regionibus, sed mundi partibus ludet. Totos supprimet montes et alibi rupes in altum novas exprimet; maria sorbebit, flumina avertet et commercio gentium rupto societatem generis humani coetumque dissolvet; alibi hiatibus vastis subducet urbes, tremoribus quatiet, et ex infimo pestilentiae halitus mittet et inundationibus quidquid habitatur obducet necabitque omne animal orbe submerso et ignibus vastis torrebit incendetque mortalia. Et cum tempus advenerit quo se mundus renovaturus extinguat, viribus ista se suis caedent et sidera sideribus incurrent et omni flagrante materia uno igni quidquid nunc ex disposito lucet ardebit. Nos quoque felices animae et aeterna sortitae, cum deo visum erit iterum ista moliri, labentibus cunctis et ipsae parva ruinae ingentis accessio, in antiqua elementa vertemur.
Seneca, Consolatio ad Marciam 26

Nulla resterà nel luogo in cui è (ora), il tempo tutto abbatterà e trascinerà con sé. E si prenderà gioco non soltanto degli uomini - quale piccola parte della potenza della sorte è infatti codesta? -, ma dei luoghi, delle regioni, dei continenti. Spianerà intere montagne e, altrove, farà sorgere nuove rupi; prosciugherà i mari, devierà i fiumi e, interrotto il rapporto fra i popoli, dissolverà la convivenza e l'unione del genere umano; altrove inghiottirà città in profonde voragini, le scuoterà con terremoti, erutterà dal profondo aliti pestilenziali, cancellerà con inondazioni ogni luogo abitato, sterminerà ogni essere vivente sommergendo il mondo e con immensi incendi brucerà ed incenerirà le cose mortali. E quando sarà giunto il tempo in cui il mondo si estinguerà per rinnovarsi, queste cose si distruggeranno con le loro stesse forze, e le stelle cozzeranno contro le stelle, e, mentre brucia tutta la materia, tutto ciò che ora brilla al suo posto arderà in un sol fuoco. Anche noi, anime felici e che abbiamo avuto in sorte l'eternità, quando a Dio sembrerà giusto ricostruire di nuovo queste cose, mentre tutto crolla, noi stesse piccola appendice dell'enorme rovina, torneremo agli elementi primordiali.

gli ablativi assoluti con valore temporale sono:
commercio gentium rupto;
orbe submerso;
omni flagrante materia;

labentibus cunctis.

La vita ritirata è la vera libertà , Seneca , Ep. 8,1-3;6-7

La vita ritirata è la vera libertà , Seneca , Ep. 8,1-3;6-7 )

(1) 'Tu me' inquis 'vitare turbam iubes, secedere et conscientia esse contentum? ubi illa praecepta vestra quae imperant in actu mori?' Quid? ego tibi videor inertiam suadere? In hoc me recondidi et fores clusi, ut prodesse pluribus possem. Nullus mihi per otium dies exit; partem noctium studiis vindico; non vaco somno sed succumbo, et oculos vigilia fatigatos cadentesque in opere detineo. (2) Secessi non tantum ab hominibus sed a rebus, et in primis a meis rebus: posterorum negotium ago. Illis aliqua quae possint prodesse conscribo; salutares admonitiones,velut medicamentorum utilium compositiones, litteris mando, esse illas efficaces in meis ulceribus expertus, quae etiam si persanata non sunt, serpere desierunt. (3) Rectum iter, quod sero cognovi et lassus errando, aliis monstro .(…) (6) Si haec mecum, si haec cum posteris loquor, non videor tibi plus prodesse quam cum ad vadimonium advocatus descenderem aut tabulis testamenti anulum imprimerem aut in senatu candidato vocem et manum commodarem? Mihi crede, qui nihil agere videntur maiora agunt: humana divinaque simul tractant. (7) Sed iam finis faciendus est et aliquid, ut institui, pro hac epistula dependendum. Id non de meo fiet: adhuc Epicurum compilamus, cuius hanc vocem hodierno die legi: 'philosophiae servias oportet, ut tibi contingat vera libertas'. Non differtur in diem qui se illi subiecit et tradidit: statim circumagitur; hoc enim ipsum philosophiae servire libertas est.

"Mi esorti a evitare la folla," scrivi, "e a starmene per conto mio, pago della mia coscienza? Che fine hanno fatto dunque i precetti della vostra filosofia che impongono di essere attivi fino alla morte?" Ma come? Credi che io ti inviti all'inerzia? Io mi sono appartato e ho sbarrato le porte per essere utile a molta gente. Non trascorro mai la giornata in ozio: parte della notte la dedico allo studio; non mi abbandono al sonno, vi soccombo e costringo al lavoro gli occhi che si chiudono stanchi per la veglia. Mi sono allontanato non tanto dagli uomini quanto dagli impegni e prima di tutto dai miei impegni personali: sono al servizio dei posteri. Scrivo cose che possano servire loro; affido alle mie pagine consigli salutari, come se fossero ricette di medicamenti utili; ne ho sperimentata l'efficacia sulle mie ferite che non sono guarite completamente, ma almeno non si sono diffuse. Mostro agli altri la via giusta: io l'ho conosciuta tardi e stanco del lungo errare. Dico queste cose a me stesso, le dico ai posteri; e non mi rendo più utile secondo te che se mi presentassi come difensore in giudizio o imprimessi il sigillo ai testamenti o mettessi gesto e voce a servizio di un candidato senatoriale? Credimi, fa di più chi sembra che non faccia niente: si cura nello stesso tempo delle faccende divine e di quelle umane.
Ma ormai è tempo di concludere e, come stabilito, devo pagare il mio tributo per questa lettera. Non è farina del mio sacco: ancora una volta saccheggio Epicuro; oggi ho letto queste sue parole: "Consacrati alla filosofia, se vuoi essere veramente libero." Chi si sottomette e si affida a essa, non deve attendere: è libero subito; infatti questo stesso servire la filosofia è libertà .

SOLO IL TEMPO CI APPARTIENE ( Seneca, Epistulae ad Lucilium, 1 )

SOLO IL TEMPO CI APPARTIENE  ( Seneca, Epistulae ad Lucilium, 1 )  da  TRIA pag. 952 T8


Ita fac, mi Lucili: vindica te tibi, et tempus quod adhuc aut auferebatur aut subripiebatur aut excidebat collige et serva.

Persuade tibi hoc sic esse ut scribo: quaedam tempora eripiuntur nobis, quaedam subducuntur, quaedam effluunt. Turpissima tamen est iactura quae per neglegentiam fit. Et si volueris attendere, magna pars vitae elabitur male agentibus, maxima nihil agentibus, tota vita aliud agentibus. Quem mihi dabis qui aliquod pretium tempori ponat, qui diem aestimet, qui intellegat se cotidie mori? In hoc enim fallimur, quod mortem prospicimus: magna pars eius iam praeterit; quidquid aetatis retro est mors tenet. Fac ergo, mi Lucili, quod facere te scribis, omnes horas complectere; sic fiet ut minus ex crastino pendeas, si hodierno manum inieceris. Dum differtur vita transcurrit. Omnia, Lucili, aliena sunt, tempus tantum nostrum est; in huius rei unius fugacis ac lubricae possessionem natura nos misit, ex qua expellit quicumque vult. Et tanta stultitia mortalium est ut quae minima et vilissima sunt, certe reparabilia, imputari sibi cum impetravere patiantur, nemo se iudicet quicquam debere qui tempus accepit, cum interim hoc unum est quod ne gratus quidem potest reddere. Interrogabis fortasse quid ego faciam qui tibi ista praecipio. Fatebor ingenue: quod apud luxuriosum sed diligentem evenit, ratio mihi constat impensae. Non possum dicere nihil perdere, sed quid perdam et quare et quemadmodum dicam; causas paupertatis meae reddam. Sed evenit mihi quod plerisque non suo vitio ad inopiam redactis: omnes ignoscunt, nemo succurrit. Quid ergo est? non puto pauperem cui quantulumcumque superest sat est; tu tamen malo serves tua, et bono tempore incipies. Nam ut visum est maioribus nostris, 'sera parsimonia in fundo est'; non enim tantum minimum in imo sed pessimum remanet. Vale.

Fa così, mio Lucilio, rivendica te a te stesso, cogli e custodisci il tempo che ancora o ti veniva portato via o ti sfuggiva. Persuaditi che sia così come io scrivio:qualche volta ci vengono portati via, a volte ci vengono sottratti di nascosto, a volte scorrono via. Tuttavia la cosa più vergognosa di tutte è quella (la perdita di tempo) che avviene per negligenza. E se vuoi badare, la maggior parte della vita sfugge nel fare male (agendo nel male), nel non (agendo senza) fare niente, tutta la vita a fare altro. Chi mi indicherai che determini qualche prezzo del tempo, dia un valore al giorno, che sappia valutare i costumi quotidiano? In questo invece sbagliamo, poiché guardiamo la morte lontana da noi: la maggior parte (di quella) già sfugge; tutto il tempo (gli anni) dietro li tiene in pugno la morte. Dunque, o mio Lucilio, fa quello che (mi) scrivi di fare già, abbraccia tutte le ore; accada così che tu dipenda meno dal domani, se allungherai la mano sull'oggi mentre si rinvia, la vita se ne va., non lasciarti sfuggire un'ora sola, Se sarai padrone del presente, meno disperderai dall'avvenire. Tutto è di altri, o Lucilio solo il tempo ci appartiene (è nostro): la natura ci ha messi in possesso di questo solo bene, fuggevole e malsicuro e chiunque voglia può privarcene. È la stoltezza dei mortali è così tanta che tollerano che le cose minime e insignificanti, sicuramente compensabili, vengano loro addossate quando capitano, e invece nessuno che ricevette del tempo si reputa di dover qualcosa, quando invece quella è l'unica cosa che nemmeno una persona riconoscente può restituire.
Ti chiederai forse come mi comporti io che ti do questi consigli. Confesserò (te lo dirò) schiettamente: tengo il conto il conto delle mie spese da persona prodiga, ma attenta. Non posso affermare di non perdere niente, ma posso dire ciò che perdo e perché e come. Sono in grado di riferirti le ragioni della mia povertà. Purtroppo mi accade come alla maggior parte di quegli uomini caduti in miseria non per colpa loro: tutti li compatiscono, ma nessuno li soccorre (da loro una mano). E dunque? Non giudico povera una persona alla quale basta quel poco che le rimane; tuttavia è meglio che tu conservi tutti i tuoi beni e comincia a tempo utile. Perché, come è detto dai nostri vecchi "È troppo tardi essere sobri quando ormai si è al fondo". Non rimane infatti una parte più piccola nel fondo ma la peggiore. Stammi bene.

Analisi Proposizioni
fac - princ imperativo morale
vindica - princ
quod..auferebatur.. subripiebatur...excidebat - rel
collige..serva - princ
persuade - princ
esse - infinitiva
ut scribo - princ
eripiuntur - princ
subducuntur - princ
effluunt - princ
est - princ
quae..fit - rel
volueris - princ
elabitur - princ
quem..dabis - int diretta
qui..ponat - rel
qui..aestimet - rel
qui intellegat - rel
se..mori - infinit
(quem..mori è interrogativa retorica)
fallimur - princ
quod..prospicimus - causale
praeterit - princ
tenet - princ
fac - princ
facere - infin
quod..scribis - rel
complectere - princ imperativo
fiet - princ (apodosi)
ut..pendeas - finale
si..inieceris - protasi
dum differtur - temporale
transcurrit - princ
sunt - princ
est - princ
misit - princ
ex..expellit - rel
vult - princ
est - princ
quae..sunt - rel
patiantur - princ
iudicet - princ
quicquam..accepit - rel
est - princ
quod..potest - rel
reddere - infin
interrogabis - princ
faciam - int indir
qui..praecipio - rel
fatebor - princ
quod..evenit - rel
constat - princ
non possum - princ
dicere..perdere - infinitive
perdam - int indir
dicam - princ
reddam - princ
evenit - princ
ignoscunt - princ
succurrit - princ
est - int dirett
puto - princ
cui..superest sat est - rel
malo - princ
serves - finale
incipies - princ
ut visum est -
est - princ
remanet - princ


Figure retoriche
Stile: epigrammatico, brevitas, paratassi per asindeto, termini incisivi, diverso dal Carpe diem oraziano poiché ha un intento morale.
Te tibi, allitterazione
Aut auferebatur.. subripiebatur...excidebat, climax ascendente
Eripiuntur..effluunt, climax collegato ai tre verbi precedenti
Magna,maxima,tota , climax ascendente
Agentibus, ripetuto tre volte in anafora
Ponat..aestimat, verbi che riconducono alla metafora: tempo=denaro
Omnia..aliena sunt..nostrum est, antitesi ribadisce il concetto "Dum differetur..transcurrit"
Ratio..impensae metafora del tempo-denaro
Non puto.. pauperem, ellissi di eum


Contestualizzazione
Con questa esortazione si apre la raccolta delle Epistulae ad Lucilium. Potremmo vedervi la necessità individuale, un desiderio di ritiro, quando la fine dell'attività pubblica e l'approssimarsi della fine della vita stessa consigliavano a Seneca di mettere in pratica l'autàrkeia, che consisteva nel dominare se stessi e nel bastare a se stessi. Seneca vuol indicare che ogni cammino verso la sapienza deve iniziare con la riappropriazione di sé. Il primo passo per prendere il controllo di sé è assumere il controllo del proprio tempo. La lettera contiene delle puntualizzazioni di alcune nozioni come la iactura temporis (perdita di tempo). In queste lettere Seneca vuole evitare il tono trattatistico e vuole richiamare il carattere leggero della lettera. La novità sta nei contenuti cioè argomenti filosofici e principi di vita. Da un punto di vista stilistico è da rilevare il tono rassicurante e quasi affettuoso. Altro aspetto significativo è l'uso dei modelli analogici che rendono visibile l'astrazione del pensiero, inoltre abbiamo l'uso frequente delle sententiae che concentrano in poche parole ricchi principi filosofici

Seneca "Quaestiones Naturales" Libro VII,25 - Versione di Maturità del 2003

Multa sunt quae esse concedimus; qualia sunt? ignoramus. Habere nos animum cuius imperio et impellimur et reuocamur omnes fatebuntur; quid tamen sit animus ille rector dominusque nostri non magis tibi quisquam expediet quam ubi sit. Alius illum dicet spiritum esse alius concentum quendam alius uim diuinam et dei partem alius tenuissimum animae alius incorporalem potentiam; non deerit qui sanguinem dicat qui calorem. Adeo animo non potest liquere de ceteris rebus ut adhuc ipse se quaerat. Quid ergo miramur cometas tam rarum mundi spectaculum nondum teneri legibus certis nec initia illorum finesque notecere quorum ex ingentibus interuallis recursus est? Nondum sunt anni mille quingenti ex quo Graecia stellis numeros et nomina fecit multaeque hodie sunt gentes quae facie tantum nouerunt caelum quae nondum sciunt cur luna deficiat quare obumbretur. Haec apud nos quoque nuper ratio ad certum perduxit. Veniet tempus quo ista quae nunc latent in lucem dies extrahat et longioris aeui diligentia. Ad inquisitionem tantorum aetas una non sufficit ut tota caelo uacet; quid quod tam paucos annos inter studia ac uitia non aequa portione diuidimus? Itaque per successiones ista longas explicabuntur. Veniet tempus quo posteri nostri tam aperta nos nescisse mirentur.

Sono molte le cose di cui ammettiamo l'esistenza; di che natura siano, non lo sappiamo. Tutti ammetteranno che noi abbiamo un animo dal cui comando siamo spinti ad agire e ne siamo richiamati; cosa tuttavia sia quell'animo che ci regge e ci governa nessuno riuscirà a spiegartelo più di quanto sia riuscito a spiegare dove sia. Qualcuno affermerà che sia spirito, altri una sorta di armonia, altri ancora un'energia divina ed una parte di dio, altri l'elemento più sottile dell'anima, altri ancora una potenza senza corpo; non mancherà chi lo definisca sangue e chi calore; tanto l'animo non può avere una visione sul resto, che è ancora in cerca di se stesso. Perchè dunque dovremmo stupirci che le comete, spettacolo così raro del cielo, non siano ancora soggette a leggi definite e non siano noti l'inizio e la fine del loro corso, il cui ritorno avviene dopo grandi intervalli di tempo? Non sono ancora passati 1500 anni da che la Grecia "nomi diede e contò le stelle" e molti sono i popoli che oggi conoscono il cielo soltanto per l'aspetto, che non sanno ancora perchè la luna sparisca ( nell'eclissi ) e perchè si oscuri ( nelle fasi ). Ed anche presso di noi non è molto che la conoscenza scientifica ha stabilito con certezza questi fatti. Verrà il momento in cui il tempo trarrà alla luce questi misteri che per ora rimangono nascosti, assieme allo studio che un periodo di tempo più lungo permetterà. Una sola vita, ammesso che sia dedicata interamente allo studio del cielo, non è sufficiente ad investigare misteri tanto profondi; e che dire del fatto che non abbiamo diviso questi così pochi anni equamente fra studi e vane occupazioni? Questi fatti verranno spiegati attraverso lunghe successioni ( di studiosi ). Verrà un momento in cui i nostri discendenti si meraviglieranno che noi non conoscessimo fatti così evidenti.

La vita ci corrompe

"nemo non ita exit e vita tamquam modo intraverit'. Quemcumque vis occupa, adulescentem, senem, medium: invenies aeque timidum mortis, aeque inscium vitae. Nemo quicquam habet facti; in futurum enim nostra distulimus. Nihil me magis in ista voce delectat quam quod exprobratur senibus infantia. 'Nemo' inquit 'aliter quam quomodo natus est exit e vita." Falsum est: peiores morimur quam nascimur. Nostrum istud, non naturae vitium est. Illa nobiscum queri debet et dicere, "quid hoc est? Sine cupiditatibus vos genui, sine timoribus, sine superstitione, sine perfidia ceterisque pestibus: quales intrastis exite." Percepit sapientiam, si quis tam securus moritur quam nascitur; nunc vero trepidamus cum periculum accessit, non animus nobis, non color constat, lacrimae nihil profuturae cadunt. Quid est turpius quam in ipso limine securitatis esse sollicitum? Causa autem haec est, quod inanes omnium bonorum sumus, vitae laboramus. Non enim apud nos pars eius ulla subsedit: transmissa est et effluxit. Nemo quam bene vivat sed quam diu curat, cum omnibus possit contingere ut bene vivant, ut diu nulli. Vale.

"Tutti escono dalla vita come se vi fossero entrati da poco." Pensa a chi vuoi, giovani, vecchi, uomini maturi; li troverai ugualmente timorosi della morte, ugualmente ignari della vita. Nessuno ha concluso niente; rimandiamo sempre tutto al futuro. Quello che più mi piace di questa frase è che rimprovera ai vecchi di essere infantili. "Nessuno," dice, "muore diverso da come è nato." È falso: moriamo peggiori di quando siamo nati. E la colpa è nostra, non della natura. Essa ha il diritto di lamentarsi con noi: "E allora?" dice, "vi ho generato senza desiderî, senza paure, senza superstizioni, senza perfidie, senza altri mali: uscite dalla vita quali siete entrati." Chi muore sereno come è nato ha conquistato la saggezza; e invece, quando il pericolo ci è vicino, abbiamo paura, il coraggio se ne va, scoloriamo in volto, versiamo lacrime inutili. Che c'è di più vergognoso dell'essere turbati proprio alle soglie della serenità? Il motivo è che siamo privi di ogni bene e soffriamo di aver sprecato la vita.

Nova Lexis 2 Pagina 325 Numero 2

Il senso delle sventure per i buoni

'Quare multa bonis viris adversa eveniunt? 'Nihil accidere bono viro mali potest: non miscentur contraria. Quemadmodum tot amnes, tantum superne deiectorum imbrium, tanta medicatorum vis fontium non mutant saporem maris, ne remittunt quidem, ita adversarum impetus rerum viri fortis non vertit animum: manet in statu et quidquid evenit in suum colorem trahit; est enim omnibus externis potentior. Nec hoc dico, non sentit illa, sed vincit, et alioqui quietus placidusque contra incurrentia attollitur. Omnia adversa exercitationes putat. Quis autem, vir modo et erectus ad honesta, non est laboris adpetens iusti et ad officia cum periculo promptus? Cui non industrio otium poena est? Athletas videmus, quibus virium cura est, cum fortissimis quibusque confligere et exigere ab iis per quos certamini praeparantur ut totis contra ipsos viribus utantur; caedi se vexarique patiuntur et, si non inveniunt singulos pares, pluribus simul obiciuntur.

"Ma se vuole farli degni di sé, per quale ragione Dio manda ai buoni tante discrazie?" Innanzitutto ti ripeto che a un uomo buono non pu&ogravo; capitare nulla che possa dirsi propriamente un male: i contrari, infatti, non si mescolano fra loro. Come la quantità dei fiumi, delle piogge che cadono dal cielo e delle sorgenti curative non altera la salsedine del mare, né tanto meno l'elimina, così l'assalto delle avversità non intacca l'animo dell'uomo forte: questi rimane saldo nel suo stato e nelle sue convinzioni, piegando gli eventi a sé, non sé agli eventi, perché ha un potere superiore a tutto ciò che lo circonda. Non dico che sia insensibile alle avversità, dico che le vince, e anche se abitualmente è tranquillo e pacifico, quando quelle gli si buttano addosso sa ergervisi contro e rintuzzarle. Per lui le avversità non hanno altra funzione ed altro scopo che di esercitare la sua virtù. E quale uomo, degno di questo nome, che sia dedito all'onestà, non aspira ad essere all'onestà, non aspira ad essere messo giustamente alla prova, o non è pronto a fare il suo dovere anche sapendo di rischiare? Così l'ozio è una sofferenza per chi sia nato all'azione. Guarda gli atleti, che, attenti come sono alle proprie forze, si battono con avversari più gagliardi di loro, anzi, durante l'esercitazione, chiedono e pretendono dagli allenatori che li preparano alla gara di scaricargli contro tutte le loro energie, e incassano colpi su colpi, e se non trovano uno che sia almeno pari a loro, si battono contemporaneamente con più di un avversario.

Nova Lexis 2 Pagina 314 Numero 6

Il coraggio di fronte al dolore

Quaeris quid sit malum?cedere iis quae mala vocantur et illis libertatem suam dedere, pro qua cuncta patienda sunt: perit libertas nisi illa contemnimus quae nobis iugum inponunt. Censeo homines non dubitaturos fuisse quid esset fortitudo. Non est enim inconsulta temeritas nec periculorum amor nec formidabilium appetitio: scientia est distinguendi quid sit malum et quid non sit. Diligentissima in tutela sui fortitudo est et eadem patientissima eorum quibus falsa species malorum est. 'Quid ergo? si ferrum intentatur cervicibus viri fortis, si pars subinde alia atque alia suffoditur, si viscera sua in sinu suo vidit, si ex intervallo, quo magis tormenta sentiat, repetitur et per adsiccata vulnera recens demittitur sanguis, non timet? istum tu dices nec dolere?' Iste vero dolet (sensum enim hominis nulla exuit virtus), sed non timet: invictus ex alto dolores suos spectat.

Chiedi qual è il male? Cedere ai cosiddetti mali e consegnare ad essi la propria libertà, in nome della quale bisogna sopportare ogni sofferenza: la libertà finisce, se non disprezziamo le cose che ci impongono un giogo. Penso che gl uomini non sarebbero incerti sull'atteggiamento conveniente a un uomo coraggioso. E il coraggio non è temerità sconsiderata o amore del pericolo o ricerca di situazioni spaventose: è la capacità di distinguere cos'è male e che cosa non lo è. L'uomo coraggioso è molto attento alla sua difesa e nello stesso tempo sopporta con grande fermezza gli eventi che hanno la falsa apparenza di mali."E allora? Se l'uomo forte lo minaccia una spada, se è colpito ripetutamente in più parti del corpo, se dal ventre squarciato vede le sue viscere, se viene torturato a intervalli perché senta di più i tormenti e nuovo sangue esce dalle ferite rimarginate, dirai forse che non ha paura, né tanto meno prova dolore?" Soffre, sì nessuna virtù toglie all'uomo la sensibilità, ma non ha paura: incrollabile guarda dall'alto le sue sofferenze.

Nova Lexis 2 pagina 304-305 esercizio n.6

Il saggio è utile al saggio

Prosunt inter se boni. Exercent enim virtuteset sapientiam in suo...

Eppure i buoni si giovano vicendevolmente, poiché praticano le virtù e mantengono costante la loro saggezza; ognuno di loro sente il bisogno di un altro con cui comunicare, con cui discutere. I lottatori esperti si tengono in esercizio con combattimenti continui; il musicista viene stimolato da un collega abile quanto lui. Anche il saggio deve esercitare le sue virtù; e come è di sprone a se stesso, così è spronato da un altro saggio. Come potrà un saggio essere utile a un altro saggio? Gli darà slancio, gli indicherà le occasioni per agire virtuosamente. Gli manifesterà inoltre certi suoi pensieri; gli comunicherà le sue scoperte, poiché anche al saggio rimarrà sempre qualcosa da scoprire e in cui il suo spirito possa spaziare. Il malvagio nuoce al malvagio, lo rende peggiore eccitandone l'ira, secondandone la durezza, approvandone i piaceri; i malvagi si trovano a mal partito soprattutto quando uniscono i loro vizi e la loro cattiveria forma un tutt'uno. Quindi all'opposto il buono sarà utile al buono.

Nova Lexis (2) Pagina 241 Numero 11

Il saggio è utile al saggio

Prosunt inter se boni. Exercent enim virtuteset sapientiam in suo...


Eppure i buoni si giovano vicendevolmente, poiché praticano le virtù e mantengono costante la loro saggezza; ognuno di loro sente il bisogno di un altro con cui comunicare, con cui discutere. I lottatori esperti si tengono in esercizio con combattimenti continui; il musicista viene stimolato da un collega abile quanto lui. Anche il saggio deve esercitare le sue virtù; e come è di sprone a se stesso, così è spronato da un altro saggio. Come potrà un saggio essere utile a un altro saggio? Gli darà slancio, gli indicherà le occasioni per agire virtuosamente. Gli manifesterà inoltre certi suoi pensieri; gli comunicherà le sue scoperte, poiché anche al saggio rimarrà sempre qualcosa da scoprire e in cui il suo spirito possa spaziare. Il malvagio nuoce al malvagio, lo rende peggiore eccitandone l'ira, secondandone la durezza, approvandone i piaceri; i malvagi si trovano a mal partito soprattutto quando uniscono i loro vizi e la loro cattiveria forma un tutt'uno. Quindi all'opposto il buono sarà utile al buono.


Nova Lexis (2) Pagina 241 Numero 11

Come riconoscere l'ira

Incertum est utrum ira magis detestabile vitium sit an deforme. Cetera licet abscondere et in abdito alere: ira se ostendit et in faciem venit, quantoque maior hoc effervescit manifestius. Non vides ut omnium animalium, simul ad nocendum insurrexerunt, praecurrant notae ac tota corpora quietumque egrediantur habitum et feritatem suam exasperent? Spumant apris ora, dentes acuuntur attritu, taurorum cornua iactantur in vacuum et harena pulsu pedum spargitur, leones fremunt, inflantur irritatis colla serpentibus, rabidarum canum tristis aspectus est: nullum est animal tam horrendum perniciosumque natura ut non appareat in illo, simul ira invasit, novae feritatis accessio. Nec ignoro ceteros quoque affectus vix occultari, libidinem metumque et audaciam dare sui signa et posse praenosci; neque enim ulla vehementior intra agitatio quae nihil moveat in vultu. Quid ergo interest? Quod alii affectus apparent, hic eminet.

Non sapresti deciderti se definirla - l'ira - un difetto detestabile, o piuttosto brutto. Impossibile sapere se è un vizio più detestabile o schifoso. Tutti gli altri si possono nascondere o nutrire in segreto: l’ira si manifesta ed affiora sul volto e, quanto più è grande, tanto più apertamente ribolle. Non vedi come tutti gli animali, quando insorgono per nuocere, ne mostrano in anticipo i sintomi e tutto il loro corpo abbandona l’abituale comportamento di calma ed esaspera la connaturata ferocia? I cinghiali mandano spuma dalla bocca ed arrotano le zanne per aguzzarle, i tori danno di corno nel vuoto e spargono l’arena battendola con l’unghia, i leoni fremono, i serpenti, quando s’adirano, gonfiano il collo, le cagne rabide hanno aspetto minaccioso: non c’è animale tanto orribile o dannoso per natura, nel quale non appaia, al sopravvenire dell’ira, un nuovo aumento di ferocia.

da littera litterae 2c pag 170 n5 "I segni dell'ira"
da Nova Lexis 2 pag 20 n3