Lucrezio, De rerum natura, IV, vv. 1058-1140

Questa è Venere per noi; di qui il nome amore,
di qui prima stillarono dolcissime gocce
nel cuore, e a vicenda successe la gelida pena;
se infatti è lontano chi ami, ti è accanto l’immagine
del suo volto, ti aleggia alle orecchie il suo nome soave.
Ma conviene che tali fantasmi si fuggano, che si ricusi
Ogni alimento d’amore, ad altro il pensiero si volga,
e il seme si eiaculi in casuali amplessi,
né lo si serbi, una volta filtrato, a un amore esclusivo,
futura pena a se stessi e sicuro travaglio.
Brucia l’intima piaga a nutrirla e col tempo incarnisce,
divampa nei giorni l’ardore, l’angoscia ti serra,
se non confondi l’antico dolore con nuove ferite,
e le recenti piaghe errabondo lenisca d’instabili amori,
o ad altro tu possa rivolgere i moti dell’animo.
Non perde il frutto di Venere chi evita amore,
ne deliba piuttosto le gioie e ne schiva gli affanni.
La volutta’ e’ piu’ limpida ai savi che ai miseri dissennati.
Infatti proprio nel momento del pieno possesso,
fluttua in certi ondeggiamenti l’ardore degli amanti
che non sanno di cosa prima godere con gli occhi e le mani.
Premono stretta la creatura che desiderano , infliggono dolore
al suo corpo e spesso le mordono a sangue le tenere labbra,
la inchiodano con i baci , perche’ il piacere non e’ puro ,
e vi sono oscuri impulsi che spingono a straziare l’oggetto,
qualunque sia , da cui sorgono i germi di quella furia.
Attenua appena il tormento Venere nell’atto dell’amore,
mitiga il morso, cui e’ mista, la gioia dei sensi.
In cio’ e’ la speranza, che dalla forma corporea medesima,
fonte del nostro ardore, possa anche essere estinta la fiamma.
Ma che cio’ avvenga la natura nega recisa;
amore e’ l’unica cosa nella quale piu’ grande è il possesso,
piu’ il cuore arde di un desiderio feroce.
Il cibo e l’acqua sono assorbiti dagli organi,
e poiche’ possono occupare certe sedi nei corpi,
si sazia percio’ facilmente il desiderio di quelli.
Ma dell’umano sembiante, d’un leggiadro incarnato,
nulla penetra in noi da godere, se non diafane immagini ,
misera speranza che spesso e’ rapita dal vento.
Come in un sogno assetato che cerchi di bere,
e bevanda non trovi che estingua nelle sue membra l’arsura,
ma liquidi miraggi insegua in un vano tormento,
o immerso in un rapido fiume ne beva, ma la sete non plachi,
cosi’ in amore Venere con miraggi illude gli amanti
che non sanno appagarsi mirando le svelate forme,
né a una carezza involare qualcosa dalle tenere membra,
irrequieti vagando per l’intera superficie del corpo.
Infine quando il piacere raccolto si effonde dai nervi,
per un po’ si produce una breve pausa dell’ardore,
poi torna la medesima rabbia,di nuovo quella smania li assale,
mentre gli amanti vorrebbero sapere che cosa desiderano,
e non riescono a trovare un rimedio che plachi il tormento:
in tale incertezza si consumano in una piaga segreta.
Aggiungi il travaglio che estingue e disperde le forze,
la vita che fugge in balia di un estraneo volere.
Le ricchezze profuse si mutano in vesti di Babilonia,
i doveri sono trascurati e la stella del tuo nome è in declino.
Unguenti e calzari sicionii splendono al piede,
verdi smeraldi abbagliano racchiusi nell'oro,
negli assidui contatti purpurei drappi sono consunti,
intrisi dal sudore della fatica di Venere.
L'onesto profitto degli avi si muta in mitre e diademi,
e in femminee vesti,e in tessuti preziosi di Alinda e Ceo.
S'apprestano mense imbadite con sfarzo di cibi e costumi,
svaghi,ebrezze,profumi,corone e ghirlande,
ma invano,poichè di mezzo al fonte della gioia
sgorga una vena d'amore che pur nei fiori già duole,
o quando il conscio animo per caso rimorda
per la vita che fugge oziosa e nelle orge sfiorisce,
o perchè l'amata ti lascia nel dubbio di un'avventata parola
che nel trepido cuore confitta vi bruci come fuoco,
o sembra che occhiate dardeggi,un altro rimiri,
e in volto le appaia l'accenno d'un sorriso fugace.

(trad. Luca Canali)

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