Seneca - La fine del Mondo

Nihil quo stat loco stabit, omnia sternet abducetque secum vetustas. Nec hominibus solum (quota enim ista fortuitae potentiae portio est?), sed locis, sed regionibus, sed mundi partibus ludet. Totos supprimet montes et alibi rupes in altum novas exprimet; maria sorbebit, flumina avertet et commercio gentium rupto societatem generis humani coetumque dissolvet; alibi hiatibus vastis subducet urbes, tremoribus quatiet, et ex infimo pestilentiae halitus mittet et inundationibus quidquid habitatur obducet necabitque omne animal orbe submerso et ignibus vastis torrebit incendetque mortalia. Et cum tempus advenerit quo se mundus renovaturus extinguat, viribus ista se suis caedent et sidera sideribus incurrent et omni flagrante materia uno igni quidquid nunc ex disposito lucet ardebit. Nos quoque felices animae et aeterna sortitae, cum deo visum erit iterum ista moliri, labentibus cunctis et ipsae parva ruinae ingentis accessio, in antiqua elementa vertemur.
Seneca, Consolatio ad Marciam 26

Nulla resterà nel luogo in cui è (ora), il tempo tutto abbatterà e trascinerà con sé. E si prenderà gioco non soltanto degli uomini - quale piccola parte della potenza della sorte è infatti codesta? -, ma dei luoghi, delle regioni, dei continenti. Spianerà intere montagne e, altrove, farà sorgere nuove rupi; prosciugherà i mari, devierà i fiumi e, interrotto il rapporto fra i popoli, dissolverà la convivenza e l'unione del genere umano; altrove inghiottirà città in profonde voragini, le scuoterà con terremoti, erutterà dal profondo aliti pestilenziali, cancellerà con inondazioni ogni luogo abitato, sterminerà ogni essere vivente sommergendo il mondo e con immensi incendi brucerà ed incenerirà le cose mortali. E quando sarà giunto il tempo in cui il mondo si estinguerà per rinnovarsi, queste cose si distruggeranno con le loro stesse forze, e le stelle cozzeranno contro le stelle, e, mentre brucia tutta la materia, tutto ciò che ora brilla al suo posto arderà in un sol fuoco. Anche noi, anime felici e che abbiamo avuto in sorte l'eternità, quando a Dio sembrerà giusto ricostruire di nuovo queste cose, mentre tutto crolla, noi stesse piccola appendice dell'enorme rovina, torneremo agli elementi primordiali.

gli ablativi assoluti con valore temporale sono:
commercio gentium rupto;
orbe submerso;
omni flagrante materia;

labentibus cunctis.

L'eruzione del Vesuvio - Parte Prima

Ais te adductum litteris quas exigenti tibi de morte avunculi mei scripsi, cupere cognoscere, quos ego Miseni relictus non solum metus, verum etiam casus pertulerim. 'Quamquam animus meminisse horret, incipiam.'1 Profecto avunculo ipse reliquum tempus studiis (ideo enim remanseram) impendi; mox balineum cena somnus inquietus et brevis. Praecesserat per multos dies tremor terrae, minus formidolosus quia Campaniae solitus; illa vero nocte ita invaluit, ut non moveri omnia, sed verti crederentur. Inrupit cubiculum meum mater; surgebam invicem, si quiesceret excitaturus. Resedimus in area domus, quae mare a tectis modico spatio dividebat. Dubito, constantiam vocare an imprudentiam debeam (agebam enim duodevicensimum annum): posco librum Titi Livi, et quasi per otium lego atque etiam ut coeperam excerpo. Ecce amicus avunculi qui nuper ad eum ex Hispania venerat, ut me et matrem sedentes, me vero etiam legentem videt, illius patientiam securitatem meam corripit. Nihilo segnius ego intentus in librum.
Plinio il Giovane, Epistulae 6. 20. 1-5 passim

(Mi) dici che, spinto dalla lettera che ti ho scritto, dietro tua richiesta1, sulla morte di mio zio, desideri conoscere non solo quali timori, ma anche quali frangenti (io) abbia affrontato, (una volta che fui) lasciato a Miseno. "Anche se il (mio) animo aborre (questo) ricordo, incomincerò (a raccontare)". Dopo la partenza di mio zio, io spesi tutto il tempo che (mi) rimaneva nello studio - proprio per questo, infatti, mi ero fermato -; poi il bagno, la cena (ed) un sonno agitato e breve. C'era (già) stato in precedenza per molti giorni un tremore della terra, (ma) non spaventoso, in quanto ordinario in Campania; quella notte invece fu così violento che tutto sembrava non muoversi, ma capovolgersi. (Mia) madre si precipitò nella mia stanza: io stavo alzandomi a mia volta, per svegliarla nell'eventualità che dormisse. Ci mettemmo a sedere nel cortile della (nostra) casa, che con la (sua) modesta estensione separava il mare dai caseggiati. Non so se (io) debba chiamar(la) forza d'animo o incoscienza - non avevo ancora compiuto diciotto anni -: domando un libro di Tito Livio e, come per passatempo, mi metto a leggerlo e continuo perfino a farne estratti, come avevo incominciato. Ed ecco (che) un amico di (mio) zio, che era da poco arrivato dalla Spagna (per recarsi) da lui, quando vede me e mia madre seduti, e me addirittura intento a leggere, rimprovera la sua dabbenaggine (e) la mia noncuranza. Ciò non ostante, io (continuo a rimanere) concentrato sul (mio) libro.

L'eruzione del Vesuvio - Parte Seconda


Iam hora diei prima erat, et adhuc dubius et quasi languidus dies erat. Iam quassatis circumiacentibus tectis, quamquam in aperto loco eramus, angusto tamen, magnus et certus ruinae metus erat. Tum demum excedere oppido visum est; sequitur vulgus attonitum, quodque in pavore simile prudentiae est, alienum consilium suo praefert, ingentique agmine abeuntes premit et impellit. Egressi tecta consistimus. Multa ibi miranda vidimus, multas formidines patimur. Nam vehicula quae produci iusseramus, quamquam in planissimo campo erant, in contrarias partes agebantur, ac ne lapidibus quidem fulta in eodem vestigio quiescebant. Praeterea mare in se resorberi et tremore terrae quasi repelli videbamus. Certe processerat litus, multaque animalia maris siccis harenis detinebat. Ab altero latere nubes atra et horrenda, ignei spiritus tortis vibratisque discursibus rupta, in longas flammarum figuras dehiscebat; fulguribus illae et similes et maiores erant.
 Plinio il Giovane, Epistulae 6. 20. 6-9
Traduzione
Il sole era già sorto da un'ora e la luce era ancora incerta e, per così dire, smorta. Poiché le abitazioni circostanti erano ormai danneggiate, anche se eravamo in un luogo all'aperto - però angusto -, grande e fondato era il timore di un crollo. Soltanto allora ci parve opportuno di uscire dalla cittadina; una folla attonita ci viene dietro, e - cosa che nello spavento è simile all'avvedutezza - preferisce l'opinione altrui alla propria, e con la sua enorme ressa ci incalza e ci spinge mentre ci allontaniamo. Una volta usciti dall'abitato, ci fermiamo. Là assistiamo a molti fatti sbalorditivi, ci colpiscono molti particolari agghiaccianti. Infatti i carri che avevamo ordinato di far arrivare, sebbene fossero su una superficie assolutamente pianeggiante, venivano sballottati in direzioni opposte, e non rimanevano fermi nel medesimo posto neppure se venivano bloccati con pietre. Inoltre vedevamo il mare riassorbirsi in se stesso e quasi essere respinto indietro dalle vibrazioni della terra. Senza dubbio la spiaggia era avanzata, e teneva prigionieri nelle sue sabbie asciutte molti animali del mare. Dall'altra parte una nube nera e terrificante, lacerata da un intreccio sinuoso e lampeggiante di vampate di fuoco, si squarciava in fiammate dalla forma allungata; erano simili a fulmini, ma più grandi.