"Ars Amatoria, 1, 237-252" di Ovidio

Vina parant animos faciuntque caloribus aptos: Cura fugit multo diluiturque mero. Tunc veniunt risus, tum pauper cornua sumit, Tum dolor et curae rugaque frontis abit. Tunc aperit mentes aevo rarissima nostro Simplicitas, artes excutiente deo. Illic saepe animos iuvenum rapuere puellae, Et Venus in vinis ignis in igne fuit. Hic tu fallaci nimium ne crede lucernae: Iudicio formae noxque merumque nocent. Luce deas caeloque Paris spectavit aperto, Cum dixit Veneri 'vincis utramque, Venus.' Nocte latent mendae, vitioque ignoscitur omni, Horaque formosam quamlibet illa facit. Consule de gemmis, de tincta murice lana, Consule de facie corporibusque diem.

Il vino dispone l'animo all'amore e lo rende pronto alla pasione: l'inquietudine fugge e si dissolve con il vino abbondante. Allora nasce il riso, ed anche un poveruomo si fa audace; allora se ne vanno dolori affanni e rughe dalla fronte, e la sincerità,nel nostro tempo così rara, rende aperti i cuori, giacchè il divino Bacco bandisce ogni artificio. Là spesso le ragazze rubano il cuore ai giovani, e Venere, col vino, è fuoco aggiunto al fuoco. Ma tu non credere troppo all'ingannevole lucerna: la notte e il vino non sono adatti a giudicare la bellezza. Con la luce del giorno e a cielo aperto osservò Paride le dee, quando a Venere disse: "La vincitrice, Venere, sei tu. Di notte non si vedono i difetti e si perdona ogni manchevolezza: qualunque donna rende bella quell'ora. Per le gemme e la lana tinta con la porpora chiedi consiglio al giorno; chiedi consiglio al giorno per giudicare il viso o il corpo di una donna.

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